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Neuroscienze
Daniele Banfi
pubblicato il 08-03-2018

Ictus: recupero migliore se il cervello viene messo a «riposo»



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Mettere in stand-by il cervello subito dopo un ictus permette un migliore recupero, almeno nei topi. Ma le indicazioni che sia così anche nell'uomo ci sono tutte

Ictus: recupero migliore se il cervello viene messo a «riposo»

Nel trattamento degli ictus prima si interviene e minori saranno i danni riportati a livello cerebrale. Il tempo in questi casi è tutto: ogni minuto perso equivale ad un giorno di vita in meno goduto in buona salute. Ma recuperare da un danno così serio al cervello potrebbe essere anche questione di «riposo». In particolare recuperare la funzionalità motoria dopo un ictus dipenderebbe dalla messa in stand-by del cervello. Ad affermarlo è uno studio pubblicato da Science Translational Medicine. Gli scienziati della Washington University School of Medicine hanno dimostrato che la «deprivazione sensoriale” nei topi, ottenuta mediante il taglio dei baffi (l’organo tattile di questi animali), è in grado di accelerare il recupero delle funzioni motorie attraverso una riorganizzazione dei circuiti cerebrali.

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Quando si verifica un ictus ischemico, ovvero un’ostruzione a livello cerebrale delle arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue al cervello, le aree a valle del blocco che non possono essere sufficientemente irrorate vanno incontro a morte cellulare. «Intervenire il prima possibile -spiega Italo Linfante, direttore del dipartimento di neurochirurgia vascolare presso il Baptist Cardiac and Vascular Institute di Miami (Stati Uniti) - è fondamentale per evitare sia danni permanenti sia, nel peggiore dei casi, la morte. L'intervento principale per risolvere la situazione consiste nello sciogliere farmacologicamente il blocco o nella sua rimozione tramite intervento endovascolare. Quest'ultimo, utile in particolare nelle ostruzioni dei grandi vasi, ha rivoluzionato il trattamento degli ictus». Grazie a questi due approcci sempre più precisi la mortalità per ictus dal 1990 al 2013 si è ridotta del 25-30%.

«CONGELARE» IL CERVELLO

Ma se il tempo è tutto la ricerca sta comunque tentando di identificare nuove possibili strategie per ridurre al minimo i danni a livello cerebrale. Ad oggi uno dei possibili approcci maggiormente studiati è quello dell'abbassamento della temperatura corporea. Il cervello è un organo che necessita di un’elevata quantità di zuccheri e ossigeno. Se per una qualsiasi ragione, come nel caso di un ictus, il carburante viene meno i neuroni vanno in profonda sofferenza. Riuscire ad abbassare la richiesta di energia attraverso una riduzione della temperatura è una delle possibili strategie per superare e limitare i danni, in attesa che l’organo riprenda le sue funzioni standard. Ad oggi l’ipotermia a scopo protettivo viene parzialmente ottenuta ponendo il corpo del paziente al freddo. Una procedura che consente di raggiungere temperature intorno ai 34 gradi.

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Oltre ad un approccio basato sull’abbassamento della temperatura corporea, il prossimo potrebbe essere quello della deprivazione sensoriale. Il condizionale è d'obbligo perché quanto ottenuto dai ricercatori statunitensi è stato realizzato per ora in modello animale. Nello studio gli scienziati hanno riscontrato che in caso di deprivazione sensoriale, ovvero uno stato in cui il cervello viene messo nelle condizioni di non percepire stimoli esterni, i danni a livello motorio in seguito ad ictus risultano meno marcati e il recupero è avvenuto più velocemente rispetto ai topi non trattati. «Lo studio - conclude Linfante - dimostra ancora una volta l'importanza della ricerca di base nell'identificazione dei possibili meccanismi di protezione cerebrale. La vera difficoltà ora è quella di tradurre nell'uomo ciò che si è ottenuto nel topo. Nell'attesa però possiamo fare molto per migliorare la gestione del paziente colpito da ictus. E' impensabile che oggi esistano ancora molte città italiane prive di stroke unit adeguate».

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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