Reagire a una diagnosi oncologica è importante. Ma sentirsi vulnerabili non è una colpa. E non è da ciò che dipende la guarigione dal tumore
Anche se è un’idea comune, il cancro non è una lotta in cui si vince solo se si è forti. È vero: la metafora che usiamo più frequentemente quando parliamo di cancro è quella della guerra. Siamo abituati a sentire espressioni come «combattere il cancro», «uccidere le cellule tumorali», a parlare del corpo come «di un campo di battaglia» e dei malati come «guerrieri».
E cosa più della forza contraddistingue un eroico guerriero? Si tratta di una metafora molto suggestiva, che fornisce anche l’illusione di essere protagonisti della lotta alla malattia, di avere il controllo della situazione. Consente di intestarsi il merito della vittoria (il che di per sé può essere positivo), ma anche di avere le responsabilità di un’eventuale sconfitta (il che è assolutamente negativo).
In realtà non è così: il cancro non ha il sopravvento perché non si è abbastanza forti o perché non si è combattuto duramente. La vulnerabilità di fronte alla malattia non è una colpa. Piangere, arrabbiarsi, sentirsi tristi, è del tutto normale. E non è da ciò che dipende la guarigione dal tumore. Questo non significa che non si debba reagire di fronte alla malattia.
Ciascuno di noi possiede risorse interiori che ci consentono di affrontare le avversità. Di fronte a una diagnosi di cancro è a quelle che bisogna attingere. Grazie a esse si può far fronte alla malattia, senza alcun bisogno di essere guerrieri o di utilizzare metafore belliche.