Rispondono Mario Miniati, dirigente medico della Clinica psichiatrica universitaria di Pisa, psicoterapeuta di indirizzo interpersonale e Ubaldo Scigliuzzo, medico specializzato in psicologia clinica, psicoterapeuta di indirizzo cognitivo comportamentale
Lo psichiatra da cui sono in cura per depressione ricorrente mi ha detto che mi farebbe bene seguire anche una “psicoterapia breve”, o cognitivo-comportamentale o interpersonale. Senza spiegarmi altro. Io sono rimasto, come conoscenza generica, alle lunghe psicoanalisi o freudiane o junghiane e di queste terapie brevi non so niente. Potete spiegarmi le differenze tra le due e indicarmi, anche, qual è la più adatta al mio caso? Ve ne sarei molto grato perché mi sento in confusione.
Antonio 84, Pescara
Risponde Mario Miniati, dirigente medico della Clinica psichiatrica universitaria di Pisa, psicoterapeuta di indirizzo interpersonale
La Psicoterapia Interpersonale (Ipt) è una terapia ‘breve’ della depressione, concentrata in un numero di sedute limitato, da 12 a 16 a frequenza settimanale, come ciclo base, cui possono seguirne altre, a frequenza minore. L’Ipt si propone di lavorare sul modo attuale, di quel momento, in cui il paziente pensa, sente e agisce in relazioni interpersonali problematiche. Niente scavi nel passato.
Le cognizioni negative oppure i sentimenti di colpa, la ridotta operatività nel raggiungere i propri scopi, il forte rilievo dato agli eventi spiacevoli, non sono considerati in se stessi, quanto in relazione alle persone che hanno un significato in termini emotivo-affettivi nella vita del paziente e a come questi comportamenti o pensieri modificano la qualità e la quantità delle relazioni interpersonali
L’assunto di base da cui parte la Psicoterapia Interpersonale è semplice: da un lato, modifiche significative delle relazioni interpersonali possono essere correlate all’insorgenza di un episodio depressivo; dall’altro lato, la depressione determina sempre un cambiamento nella qualità e nella quantità dei rapporti interpersonali.
L' Ipt si articola in tre fasi (fase iniziale, fase intermedia, fase finale) e considera quattro aree problematiche principali: il contrasto di ruolo, la transizione di ruolo, il lutto ed il deficit interpersonale.
I contrasti di ruolo corrispondono alle situazioni in cui il paziente e almeno un’altra persona significativa vivono aspettative non reciproche sul loro rapporto. Il deficit interpersonale viene scelto come punto focale della terapia quando il paziente presenta una storia di relazioni inadeguate o inconsistenti. La transizione di ruolo è scelta come tema quando alla base dell’episodio depressivo attuale si considera un cambiamento significativo nel proprio ruolo di lavoro, di studio, sociale o dentro la famiglia. Il lutto si sceglie solo in presenza di una perdita reale di una persona significativa; il lutto per la perdita di funzioni o di abilità è da considerarsi come una transizione di ruolo.
In genere, la Terapia interpersonale si utilizza per pazienti affetti da depressione lieve o moderata. Non è da consigliare a pazienti con forme gravi di depressione o che presentino un rischio suicidario.
Risponde Ubaldo Scigliuzzo, medico specializzato in psicologia clinica, psicoterapeuta di indirizzo cognitivo comportamentale
La Terapia Cognitivo-Comportamentale fu elaborata negli anni ’60 dallo psichiatra americano Aaron T. Beck. I suoi assunti di base sono:
1) nei disturbi psicologici sono presenti schemi cognitivi disadattativi, in grado di distorcere la realtà, generando sofferenza;
2) tali schemi si esprimono in pensieri automatici e sotto forma di convinzioni e credenze irrazionali relative a se stessi, agli altri o al contesto;
3) attraverso errori sistematici nel modo di pensare (ad esempio: la generalizzazione eccessiva, l’ingigantire e il minimizzare, la deduzione arbitraria ecc.), il sistema di credenze erronee tende a mantenersi nel tempo, nonostante le possibili smentite da parte dell’esperienza.
Sin dalle fasi iniziali il terapeuta invita il paziente a registrare, tra una seduta e l’altra, le emozioni provate nel corso di esperienze problematiche, i pensieri e/o le immagini che le hanno accompagnate, il contesto in cui si sono verificate. Attraverso l’autosservazione facilitata dal terapeuta, il paziente diviene consapevole delle proprie strutture di significato disfunzionali, cioè del proprio modo distorto di dare un senso agli eventi, e del legame esistente tra queste e la sofferenza emotiva.
Per mezzo del dialogo “socratico”, si cerca di pervenire a ipotesi alternative rispetto a quelle cui il paziente è solito arrivare e si concordano prove di comportamenti diversi che il paziente adotterà a casa, nella sua vita quotidiana – riferendone poi nelle sedute - così da poter verificare tali ipotesi. In questo modo il paziente potrà gradatamente esporsi a esperienze correttive dei propri schemi “automatici” disfunzionali.
Alle origini della psicoterapia cognitivo-comportamentale l’accento era posto sulla razionalità come fattore di adattamento; successivamente, sulla base delle acquisizioni delle scienze cognitive, si sono evidenziati altri fattori: ad esempio, il ruolo delle emozioni, l’importanza del loro riconoscimento e della loro espressione da parte del paziente, l’influenza dei modelli operativi di sé e dell’altro nello sviluppo dei rapporti con gli altri.
Oggi la psicoterapia cognitivo-comportamentale, ampiamente validata, trova applicazione in molti contesti clinici: ad esempio, disturbi d’ansia e dell’umore, disturbi sessuali, disturbi alimentari, disturbi correlati all’uso di sostanze, disturbi di personalità.