Uno studio epidemiologico condotto su bambini in età scolare fornirà informazioni sul legame tra polveri sottili atmosferiche e rischi per la salute: la ricerca di Edoardo Franceschini
L'inquinamento atmosferico può avere un impatto significativo sulla salute umana, e le polveri sottili (particelle microscopiche sospese nell'aria) sono tra gli inquinanti più monitorati. Un’esposizione prolungata agli inquinanti dell’aria può causare o peggiorare problemi respiratori, vascolari e cardiaci, oltre ad avere effetti sul sistema nervoso e sul neurosviluppo. Gli individui “fragili”, e i bambini in particolare, sono considerati un gruppo ad alto rischio per patologie respiratorie. Inoltre, alcuni dati sperimentali suggeriscono che l’inquinamento possa condurre all’accumulo di danni al DNA, i quali, se accumulati precocemente durante l'infanzia, possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo di malattie croniche in età adulta come il cancro.
Edoardo Franceschini è ricercatore presso l’Università degli Studi di Perugia, dove studia il legame tra polveri sottili e la presenza di alterazioni biologiche precoci nei bambini in età scolare. Il suo progetto sarà sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Edoardo, come nasce l'idea del vostro lavoro?
«Nasce dalla volontà di stimare una correlazione statistica (cioè un legame statisticamente significativo, N.d.R.) tra l’inquinamento da polveri sottili e la presenza di alterazioni a livello cellulare nella mucosa buccale, le cellule della bocca, di bambini in età scolare».
Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?
«Le polveri sottili sono originate durante diverse fasi di produzioni del cemento, (un esempio in Italia riguarda Gubbio, dove sono presenti due cementifici, N.d.R.). Le informazioni scientifiche che non riguardino strettamente i lavoratori dell’industria cementifera sono però esigue».
Quali, in particolare?
«Vogliamo capire se esiste una relazione tra la concentrazione di polveri sottili nell’aria e la presenza di micronuclei nelle cellule della mucosa buccale dei bambini. Queste alterazioni cellulari rappresentano un “marcatore precoce” di un effetto biologico, ma abbiamo ancora poche evidenze empiriche al riguardo».
Come intendete portare avanti il vostro progetto quest’anno?
«L’indagine epidemiologica prevede prima di tutto la somministrazione di questionari alle famiglie che partecipano volontariamente all’indagine epidemiologica, in modo da raccogliere informazioni sulle loro abitudini di vita e su eventuali malattie pregresse. Tramite un semplice prelievo con uno spazzolino, saranno raccolte le cellule della mucosa interna della guancia dei bambini. Saranno quindi registrati eventuali scostamenti di questi campioni rispetto a una morfologia cellulare standard – cioè la forma “normale” di queste cellule. I dati ricavati saranno quindi elaborati attraverso protocolli statistici per rilevare la presenza di eventuali correlazioni tra i livelli di inquinamento atmosferico da polveri sottili e la presenza di alterazioni cellulari».
Quali sono le prospettive di questa ricerca?
«Esperimenti come questi sono rilevanti perché forniscono sia dati epidemiologici utili al monitoraggio della salute pubblica, sia perché costituiscono la base per future ricerche».
Sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?
«No, sarei potuto andare all’estero durante il dottorato di ricerca, ma la dichiarazione dello stato di pandemia ha causato la sospensione delle attività non strettamente necessarie a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Ciò ha costretto molti ricercatori come me a un lungo periodo di smart working, di fatto precludendo i viaggi non strettamente necessari».
Se ne avessi l’occasione, dove ti piacerebbe andare?
«Se potessi scegliere, non mi dispiacerebbe andare in Svizzera».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Perché aspiro ad apportare un seppur minimo contributo alla conoscenza e al progresso della collettività. Inoltre faccio la cosa che sento di saper fare meglio».
Edoardo, c’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno che invece vorresti dimenticare?
«Ricordo con particolare soddisfazione la prima pubblicazione di una review che avevo elaborato e scritto di persona. Con meno soddisfazione ricordo quando i ricercatori sono stati trattati con sufficienza».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La possibilità di poter affrontare sempre nuove sfide e di sviluppare approcci per inquadrare nuove problematiche».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«La grande quantità di burocrazia che, al pari di altri settori, soffoca la ricerca».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Il grande sforzo portato avanti dagli scienziati per creare vaccini durante il periodo pandemico».
C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?
«Il biochimico Kary Mullis, premio Nobel per l’invenzione della reazione a catena della polimerasi (PCR) nel 1993».
Qual è l’insegnamento più importante che ti ha lasciato?
«Che la curiosità nello scoprire la realtà attorno a noi non deve mai venire meno».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«Lo scrittore».
Percepisci “fiducia” rispetto al tuo lavoro?
«Purtroppo percepisco un certo senso di sufficienza da parte del pubblico nei confronti della figura del ricercatore, in parte dovuto alla difficoltà nel comprenderne concretamente le attività. Inoltre il lavoro in generale è spesso visto solo come un guadagno economico da perseguire, seguendo la strada più veloce possibile. Da qui il detto: “Avete studiato troppo, dovevate avere meno pretese, se non trovate lavoro è solo colpa vostra”».
Cosa fai nel tempo libero?
«Leggo romanzi di fantascienza e mi piace osservare la natura».
Se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole ricerca, come reagiresti?
«Ne sarei felice. Oltre a essere un impegno che dura tutta una vita e a contribuire al progresso della specie umana, la ricerca mantiene giovane e propone sempre nuovi problemi e obiettivi da studiare».
C’è una cosa che vorresti assolutamente vedere almeno una volta nella vita?
«Il Kruger National Park in Sud Africa».
La cosa di cui hai più paura e perché.
«La diffusione di pratiche magiche e irrazionali, al posto del ragionamento basato su solide basi statistiche e sperimentali. È anche la cosa che mi fa più arrabbiare».
E invece cosa ti fa ridere a crepapelle?
«Il fatto che a volte le scoperte più rilevanti non sono frutto di una pianificazione, ma interamente frutto del caso».
Il tuo film preferito?
«Tutti i film diretti da Quentin Tarantino».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Vorrei innanzitutto ringraziarvi per il vostro contributo: i soldi che donate non sono mai una perdita, ma un importante investimento in termini di progresso e di salute individuale e collettiva. La scienza è un sistema che funziona in maniera integrata: quando un campo si sviluppa, poi anche le altre discipline ne beneficiano a cascata. Il vostro contributo è fondamentale».
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