Filosofa ed epidemiologa, Marialaura Bonaccio studia gli effetti sulla salute della crisi economica che determina una minore adesione dei meno ricchi ai principi della dieta mediterranea
Marialaura Bonaccio è una dei 179 ricercatori sostenuti nel 2015 da Fondazione Veronesi, ma la sua è una storia davvero curiosa; Marialaura, infatti, è arrivata alla ricerca e all’epidemiologia quasi per caso. Dopo aver frequentato il liceo scientifico nella sua città natale, Campobasso, Marialaura si è iscritta alla facoltà di Filosofia all’Università degli Studi di Cassino, laureandosi con lode. Ha iniziato la carriera giornalistica e, durante un servizio in occasione dell’arrivo del premio Nobel per la Medicina Louis Ignarro all’Università Cattolica di Campobasso, ha conosciuto il team di Giovanni de Gaetano, direttore del dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli. Da allora, Marialaura ha seguito con sempre maggiore interesse le iniziative organizzate dai laboratori di ricerca e qualche tempo dopo, nel 2006, è entrata a far parte dell’Unità di Comunicazione Scientifica dello studio Moli-sani nel laboratorio guidato da Licia Iacoviello, sempre al Neuromed. Da qualche anno si dedica a tempo pieno alla ricerca epidemiologica, e ha conseguito anche un dottorato di ricerca in Epidemiologia presso l’Università di Maastricht nei Paesi Bassi. Adesso è ricercatrice post-dottorato nel Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale: l’obiettivo della sua ricerca è analizzare l’impatto della crisi economica sull’adesione alla dieta mediterranea.
Marialaura, ci spieghi nei dettagli il tuo progetto?
«Sappiamo che la dieta mediterranea è un autentico scudo salvavita contro le principali malattie croniche come diabete, tumori e malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni i dati purtroppo si è registrato un calo dei consumi di pesce, olio d’oliva e frutta e un aumento di carne e prodotti di bassa qualità. Al banco degli imputati finisce di diritto la crisi economica; se storicamente, infatti, la dieta mediterranea era l’alimentazione dei più poveri, dati recenti indicano che ora se la possono permettere solo i più facoltosi, esacerbando ancora di più le disuguaglianze socioeconomiche anche per quanto riguarda la salute e la prevenzione. Bisogna quindi intervenire per evitare che siano i più deboli a pagare il prezzo più alto dell’allontanamento da questo modello alimentare. La mia ricerca si svolgerà nell’ambito dello studio Moli-sani, che dal 2005 al 2010 ha reclutato 25 mila cittadini della regione Molise, e valuterà il ruolo delle risorse culturali (livello di istruzione o di conoscenza nutrizionale) come possibili fattori di contenimento dell’impatto della crisi economica sulle abitudini alimentari».
Qual è l’impatto della tua ricerca sulla salute?
«Questa ricerca consentirà, per la prima volta, di effettuare una valutazione scientifica del ruolo della crisi economica sulle abitudini alimentari degli ultimi anni, in particolare della dieta mediterranea. Si tratta di dati estremamente importanti per chi si occupa di salute pubblica che consentiranno di comprendere meglio perché stiamo perdendo un fattore di protezione importante contro una serie di gravi malattie e che per secoli ha garantito lunga vita ai popoli del bacino del Mediterraneo. In prospettiva i nostri dati permetteranno di affrontare con anticipo il prevedibile impatto negativo della crisi economica sulla salute della popolazione italiana dei prossimi decenni».
Quali risultati avete ottenuto fino a ora?
«Al momento sappiamo che l’alimentazione mediterranea è fortemente legata al reddito e al titolo di studio. In pratica, chi guadagna di più o chi ha un buon livello di istruzione tende ad avere un’alimentazione più vicina al modello mediterraneo tradizionale».
Per te la sana alimentazione non è solo un lavoro, ma una scelta di vita…
«È vero, infatti il mio grande hobby è la campagna. Ho un piccolo orto in un paesino vicino a Campobasso, dove coltivo personalmente i prodotti base della dieta mediterranea: verdura, ortaggi, frutta, e preparo anche conserve e marmellate».
Tu hai una sorta di “doppia anima”: quella più umanistica e quella scientifica.
«Io la chiamo conoscenza, semplicemente. Avendo avuto una formazione umanistica, credo che la scienza sia uno dei possibili modi di conoscere i fenomeni, basato su metodi matematici e riproducibili, che ci offrono una visione ben precisa del reale. Poi c’è la filosofia, ma anche la poesia e l’arte in generale. Tutte hanno un solo scopo: capire qualcosa del mondo in cui viviamo. E affrontarlo meglio».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Non ne ho idea. Faccio parte di una generazione a cui è stato impedito di fare progetti a lungo termine. Posso solo immaginare, sognare e sperare. E mi ritengo fortunata perché molti miei coetanei non possono nemmeno fantasticare».
Qual è il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?
«Per deformazione professionale, la filosofia agisce ad ogni livello della mia giornata. Studiare la dieta mediterranea è anche un problema filosofico. Almeno, io lo vivo così. Capire perché i poveri si ammalano e muoiono più dei ricchi è un problema filosofico, politico, sociale e morale. La scienza ha il dovere di mostrare le incongruenze della una società. Se gli scienziati non vogliono essere tagliati fuori dalla società, come spesso lamentano, devono seriamente impegnarsi a renderla migliore. Fare scienza è anche una battaglia civile».
Chiara Segré
Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.