Giuliana Fossati studia come patologie infiammatorie in gravidanza possano alterare il complesso PTX1/TSP1 e indurre un mancato sviluppo del sistema nervoso nel nascituro
Il sistema nervoso integra e controlla tutte le attività dell'organismo. La sua funzionalità dipende dalla corretta formazione delle sinapsi, sistemi che mettono in comunicazione tra loro le cellule nervose, permettendo la propagazione degli impulsi elettrici da un neurone all’altro. Studi precedenti hanno dimostrato che due proteine prodotte dal cervello, la pentraxina3 (PTX3) e la trombospondina1 (TSP1), giocano un ruolo fondamentale nella formazione dei sistemi di comunicazione nervosa. Alterazioni nell’equilibrio di queste due proteine, dovute a infezioni prenatali, potrebbero essere coinvolte nello sviluppo di malattie psichiatriche.
Giuliana Fossati, ricercatrice dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, studierà come gli effetti delle alterazioni di PTX3 e TSP1 in condizioni infiammatorie, grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Giuliana, raccontaci del tuo progetto e delle proteine di cui ti occupi, PTX3/TSP1.
«Alcuni studi precedenti hanno dimostrato che la presenza di infezioni importanti durante il periodo della gravidanza può favorire l’insorgenza di malattie psichiatriche nel nascituro. Partendo da queste osservazioni, nel mio progetto mi sto occupando di studiare un modello di topo che simula un’infezione in gravidanza: il mio scopo è quello di verificare come uno stato infiammatorio possa portare a variazioni di PTX3 e TSP1, due proteine che si legano in un complesso e sono importanti per la formazione e la funzionalità delle sinapsi a livello del sistema nervoso centrale».
Che legame esiste tra queste proteine e le malattie psichiatriche?
«TSP1 promuove la formazione delle sinapsi e PTX3 le rende funzionali. PTX3 e TSP1 formano un complesso, si regolano reciprocamente e sono entrambe indotte da stimoli infiammatori. L’ipotesi è che lo stato infiammatorio eccessivo porti a uno sbilanciamento del complesso PTX3/TSP1, alterando la corretta formazione delle sinapsi».
Se questo fosse confermato, quali sarebbero le ricadute nel lungo periodo?
«Questo progetto mira a identificare nuovi marcatori precoci di malattie neuropsichiatriche. Conoscere i substrati molecolari che influenzano lo sviluppo fetale portando a patologie neuropsichiatriche è fondamentale per lo sviluppo di terapie farmacologiche e comportamentali efficaci, utili per il trattamento precoce di tali disordini. Se si dimostrerà possibile rilevare alterazioni di PTX3 e TSP1 attraverso un prelievo di sangue, queste due proteine potranno essere impiegate come biomarcatori predittivi per future patologie neuropsichiatriche nei nuovi nati».
Raccontaci la tua giornata tipo in laboratorio.
«La bellezza di questo lavoro è che non esiste una giornata tipo. Ogni giorno è diverso dal precedente, pertanto, non ci si annoia mai. Alcune volte si passa la giornata al bancone di laboratorio per gli esperimenti, altre volte al computer ad analizzare i dati e a studiare la letteratura scientifica per il proseguimento del progetto».
Sei mai stata all’estero per fare ricerca?
«Si, ho avuto la fortuna di fare diverse esperienze all’estero in laboratori di eccellenza. Sono stata in Israele, negli Stati Uniti e in Svizzera. A Ginevra ho vissuto per tre anni».
Cosa ti ha spinta ad andare?
«Sono sempre stata mossa dal desiderio di vedere come la ricerca fosse portata avanti all’estero. Inoltre, ero molto attratta anche dall’idea di vivere in luoghi diversi ed esplorare culture diverse dalla mia».
Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
«Impossibile riassumere brevemente cosa hanno significato per me. Ognuna di queste esperienze è stata intensa, formativa, stimolante e faticosa. Tuttavia, sarei pronta a riviverle da capo».
Ti è mancata l’Italia?
«L’Italia è casa mia e, com'era normale che fosse, mi è mancata molto. Soprattutto per il suo cibo.
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«La curiosità per la biologia è qualcosa che ricordo sin dai tempi delle elementari. Poi, a 17 anni, pensando al mio futuro, ho deciso che avrei voluto donare il mio piccolo contributo al mondo, diventando ricercatrice».
Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare.
«Non dimenticherò mai la gioia che provai il giorno in cui il mio capo mi telefonò per comunicarmi che, in seguito a una lunga e difficile revisione, il mio primo lavoro scientifico come primo autore era stato accettato per la pubblicazione».
Come ti vedi fra dieci anni?
«Mi piacerebbe continuare a far ricerca in Italia. Tuttavia, a causa delle condizioni precarie in cui versa il nostro campo, non so se riuscirò a esaudire questo mio desiderio».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«Il progresso e la volontà di spingersi sempre avanti».
Una figura che ti ha ispirata nella tua vita personale.
«Eric Kandel, premio Nobel per la medicina, che ho avuto l’onore di incontrare personalmente, facendomi firmare, inoltre, la tesi di laurea. Al liceo, leggendo i suoi lavori, ho cominciato ad appassionarmi alla neurologia e in particolare al tema della memoria».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?
«In realtà non saprei. Forse avrei fatto la manager, sono brava a coordinare e organizzare».
Giuliana, qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?
«L’idea di contribuire a migliorare la salute dell’uomo».
In cosa, secondo te, potrebbe migliorare la comunità scientifica?
«Ritengo che bisognerebbe investire maggiormente per un’efficace divulgazione scientifica».
Cosa fai nel tempo libero?
«Amo viaggiare e passare del tempo con i miei amici e la mia famiglia».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?
«Al matrimonio di mio fratello, quando l’ho visto arrivare all’altare».
Cosa vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?
«Vorrei visitare il Giappone e Cuba».
Hai un libro che ti rappresenta?
«Sì, è "Orgoglio e pregiudizio", di Jane Austen. Mi ha sempre colpito la forza della figura di Elizabeth».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Li inviterei a continuare a donare e li tranquillizzerei sul fatto che i contributi a favore della ricerca sostengono concretamente il nostro operato. Pertanto, come ricercatrice, li ringrazio di cuore perché permettono a me e ai miei colleghi di portare avanti quotidianamente il lavoro che amiamo».