Valentina Gigliucci studia il ruolo dell’ossitocina per spiegare le differenze di genere nell’autismo: il suo obiettivo è sviluppare trattamenti terapeutici più mirati
I disturbi dello spettro autistico si manifestano generalmente durante i primi anni di vita e influenzano lo sviluppo dei soggetti colpiti in misura diversa. L’incidenza dell’autismo è maggiore nel sesso maschile: le difficoltà nello sviluppo delle relazioni sociali e affettive, la ripetitività nei giochi e nei movimenti e i problemi nella comunicazione e nel linguaggio colpiscono in un rapporto stimato di circa 4 a 1. Studiare le differenze di genere nell’incidenza di questa malattia, dunque, può aiutare a comprendere i meccanismi responsabili dell’insorgenza. Un ruolo particolarmente importante sembra essere svolto dall’ossitocina, un piccolo ormone coinvolto nello sviluppo dei legami affettivi e sociali e che presenta delle differenze tra maschi e femmine. Con la sua ricerca, Valentina Gigliucci punta a chiarire come l’ossitocina contribuisca alla diversa incidenza dei disturbi dello spettro autistico tra i due sessi, con l’obiettivo di identificare nuovi bersagli terapeutici e marcatori per la diagnosi precoce.
Valentina, perché hai scelto di focalizzare il tuo studio sul ruolo dell’ossitocina?
«In uno studio precedente ho osservato un’alterazione nell’espressione dei geni dell’ossitocina in un modello animale di autismo. Inoltre, risultati ottenuti nel mio laboratorio supportano l’ipotesi che l’ossitocina svolga un ruolo importante nella regolazione del bilancio tra segnali di eccitazione e inibizione a livello dei circuiti neurali, un equilibrio responsabile dello sviluppo degli stessi circuiti. Differenze nei livelli di ossitocina potrebbero, quindi, influenzare lo sviluppo dei circuiti neuronali ed essere alla base di alcuni disturbi del neurosviluppo, come l’autismo».
Quale potrebbe essere il meccanismo attraverso cui l’ossitocina potrebbe generare queste differenze di genere?
«Sappiamo che ci sono differenze tra maschi e femmine nell’espressione dei geni dell’ossitocina a livello del sistema olfattivo, un altro sistema molto importante per il corretto sviluppo della socialità. La mia ipotesi è che queste differenze determinino una maturazione anomala del sistema olfattorio, causa a sua volta i disturbi delle relazioni sociali e affettive osservati nelle sindromi dello spettro autistico».
Puoi dirci più nel dettaglio in che cosa consisterà la tua ricerca?
«Il mio studio punta a caratterizzare la struttura cerebrale del sistema olfattivo nei maschi e nelle femmine in due diversi modelli animali di disfunzione sociale. Inoltre, studierò la distribuzione e i livelli dei recettori dell’ossitocina in queste regioni sia nei maschi che nelle femmine e valuterò se la somministrazione di ossitocina alla nascita è in grado di indurre cambiamenti molecolari persistenti».
Come potrebbero essere utilizzate le informazioni raccolte dal punto di vista clinico?
«I risultati dello studio permetteranno di individuare i meccanismi molecolari alla base delle differenze di genere nelle sindromi dello spettro autistico: sarà quindi possibile sviluppare nuovi marcatori per la diagnosi precoce e nuovi trattamenti più mirati e selettivi per la cura di queste malattie nei maschi e nelle femmine».
Hai svolto il tuo dottorato a Dublino. Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?
«Tantissimo entusiasmo, amicizie e bellissimi ricordi. Non sono mancati i momenti difficili, soprattutto avendo una relazione a distanza. Purtroppo mi sono persa dei momenti importanti nella vita della mia famiglia e dei miei amici, anche se ho scoperto che si può dimostrare la propria vicinanza in molti modi».
Ti è mancata l’Italia?
«Sì, soprattutto il cibo e il clima, ma andare via mi ha anche fatto apprezzare cose a cui prima non facevo caso, come la tenacia delle persone nel risolvere i problemi e la qualità della nostra formazione universitaria».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La soddisfazione che si prova quando interpreti i dati ottenuti ed emerge un nuovo aspetto del tuo studio... è davvero inebriante».
C’è una figura che è stata fonte di ispirazione per la tua vita professionale?
«Marie Curie. Donna e scienziata, in un’epoca dove la scienza era solo per uomini. Due premi Nobel, marito e figli. Per me è un idolo».
Ora raccontaci un po’ di te. Prova a descriverti con tre pregi e tre difetti.
«Determinata, altruista, allegra. Pignola, prolissa e tendente al pessimismo.
Quali sono le tue passioni al di fuori del laboratorio?
«Adoro la danza, anche se negli ultimi anni non ho avuto molto tempo di praticarla».
Raccontaci una pazzia che hai fatto.
«Fare il Cammino di Santiago, prendendo un percorso secondario poco conosciuto e segnalato. Io e il mio compagno siamo usciti dall’aeroporto a piedi senza avere una mappa e ci siamo persi in mezzo ai campi nel tardo pomeriggio. Siamo stati salvati da una coppia che era lì a fare una passeggiata e ci ha indicato come tornare sulla strada asfaltata, dicendoci che eravamo stati fortunati perché in quei campi dopo il tramonto si potevano trovare dei tori lasciati allo stato brado».
Qual è la cosa che più ti fa arrabbiare?
«Quando non viene data la possibilità di spiegarmi».
E la cosa che invece vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?
«Andare in missione in Africa».