Una delle caratteristiche dei tumori ossei infantili è la presenza di molecole ibride alla base dell'instabilità delle cellule. La ricerca di Annie Zappone
L’osteosarcoma è un tumore dei tessuti ossei che colpisce prevalentemente in età infantile e adolescenziale. Spesso provoca anche metastasi a distanza. Le terapie farmacologiche a disposizione per la cura di questo tumore non sono variate di molto negli ultimi trent'anni. Da qui l'impegno della ricerca scientifica, finalizzato a mettere a punto trattamenti più efficaci e meno tossici.
Una delle caratteristiche delle cellule di osteosarcoma è l’instabilità genomica, cioè la rottura della doppia elica di Dna che causa mutazioni e danni ai cromosomi (le strutture in cui è organizzato il patrimonio genetico). Come interpretare questa informazione? Può l’instabilità genomica spiegare alcune caratteristiche nello sviluppo e nella progressione aggressiva di questo tumore?
A queste domande cerca di dare risposta Annie Zappone, biotecnologa all’Università degli Studi di Trieste, che sta portando avanti il lavoro di ricerca sull’osteosarcoma grazie al sostegno di una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.
Annie, raccontaci qualcosa di più sul tuo lavoro.
«In laboratorio mi occupo dello studio di proteine che svolgono un ruolo importante nella regolazione della cromatina, cioè la forma nella quale sono organizzati gli acidi nucleici nelle nostre cellule, formata da Dna, Rna e proteine. In particolare studio le cosiddette zone ripetitive del Dna, che sono coinvolte nella formazione di strutture anomale chiamate ibridi Rna:Dna. Questi ibridi esistono normalmente. Ma, se aumentano eccessivamente, possono stimolare i telomeri (le estremità dei cromosomi, ndr) e causare un’aumentata proliferazione delle cellule. Come modello tumorale ho scelto l’osteosarcoma, un tumore maligno primitivo più comune fra quelli ossei».
Qual è il legame tra questi ibridi e l’osteosarcoma?
«Il mio progetto di ricerca si basa sullo studio di un complesso proteico chiamato ATRX/DAXX, che è coinvolto nel mantenimento della stabilità del genoma nelle cellule normali. Queste complesso è spesso mutato nelle cellule tumorali, il che comporta un aumento dei livelli di ibridi Rna:Dna, che a sua volta conduce ad alterazioni a livello genomico e progressione tumorale. L’obiettivo del mio lavoro sarà comprendere la funzione del complesso DAXX/ATRX e in particolare di una terza proteina, chiamata SFPQ, che si lega con le prime due e limita la formazione degli ibridi Rna:Dna, agendo da regolatore».
Quali sono le prospettive a lungo termine del tuo lavoro?
«Attualmente sto lavorando in vitro, usando campioni di Dna, sezioni istologiche di tumori e linee cellulari ottenute da campioni clinici di osteosarcoma. Il mio scopo è quello di fornire un razionale scientifico per lo sviluppo di nuove terapie: in estrema sintesi, quando le funzioni del complesso DAXX/ATRX saranno chiarite appieno, si potrebbe agire aumentando il danno a livello del Dna, così da provocare ancora più instabilità genomica e conseguente morte delle cellule tumorali».
Raccontaci la tua giornata tipo in laboratorio.
«Quando si pensa al lavoro da ricercatore, si immagina una persona socialmente poco attiva, seduto tutto il giorno sul proprio sgabello mentre lavora al bancone tra pipette e campioni biologici. Luoghi comuni. Fare il ricercatore è molto di più, è un lavoro entusiasmante e vuol dire far parte di una squadra perché non si lavora quasi mai da soli. Ogni giorno c'è una nuova sfida da affrontare».
Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?
«Durante il quarto anno di liceo scientifico, i professori hanno organizzato una giornata di orientamento all’Università di Messina, dove abbiamo avuto modo di visitare tante facoltà diverse e ascoltare molti docenti e studenti che ci hanno raccontato le loro esperienze. In quel periodo ero molto indecisa: non sapevo se intraprendere studi giuridici e diventare un avvocato o orientarmi sulle facoltà scientifiche».
E come hai risolto i tuoi dubbi?
«Appena arrivata a casa mi sono messa al pc a fare ricerche per capire quali fossero gli argomenti studiati, le attività previste e gli sbocchi lavorativi nel mondo scientifico. Poi, per conferma, ho preso i libri universitari di mio fratello, all’epoca studente di giurisprudenza. Leggendo questi testi, mi sono posta una domanda: è di questo che voglio occuparmi per il resto della mia vita? È stato quel giorno che ho capito chi volevo diventare».
Qual è il momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare?
«Ce n’è uno in particolare che mi piace ricordare. Erano tre mesi che lavoravo su un esperimento ma non riuscivo a vedere il risultato. Sotto la guida del mio capo ho perseverato fino al giorno in cui abbiamo ottenuto ciò che cercavamo. Il suo entusiasmo è una delle sensazioni che rievoco nei momenti in cui mi sento demoralizzata».
Momenti no?
«Nessuno: ogni momento è stato fondamentale per la mia crescita personale e professionale».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La versatilità».
Quale figura ti ha ispirato nella vita personale e professionale?
«Ce ne sono tante, ma scelgo il professore di biologia e chimica che mi ha seguita il durante il terzo e il quarto anno di liceo. Mi ha seguito nel mio percorso di formazione e mi ha ispirata. È anche grazie a lui se ho scelto di intraprendere questo percorso».
Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?
«Grazie a lui ho capito che ogni ragazzo ha una predisposizione innata che un ottimo maestro sa far emergere e alimentare».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?
«Ho fatto un’attenta analisi introspettiva e ho cercato di proiettarmi in un altro mondo, vagliando diverse opzioni. Credo che potenzialmente ci siano diversi campi in cui potrei eccellere, ma attualmente nessuno di questi mi motiva come la ricerca».
Cosa fai nel tempo libero?
«Ho molte passioni. Amo leggere e ascoltare musica, mi piace correre vicino al mare, mi diletto con la pittura ad acquerello e adoro viaggiare. Quest’ultima passione, molto più delle altre, mi permette di appagare la mia fame di conoscenza e scoperta di nuovi mondi, nuove culture e di una nuova me».
Il libro che più ti piace o ti rappresenta.
«“L’alchimista” di Paolo Coelho e “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. Cosa hanno in comune e cosa mi hanno insegnato? In tre parole: passione, tenacia e determinazione».
Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?
«Mi piacerebbe Michelle LaVaughn Robinson, meglio conosciuta con il cognome Obama. Un personaggio impegnato su fari fronti e con la capacità di ricoprire in maniera eccellente il suo ruolo di donna, madre e moglie. È un perfetto connubio di autorevolezza e affidabilità».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Quest’anno più che mai ogni cittadino ha compreso l’importanza della ricerca scientifica. Noi ricercatori operiamo in prima linea, ancora prima delle aziende farmaceutiche e della medicina clinica. Scoprire la ragione per cui una determinata patologia si sviluppa è il primo passo per capire in che modo intervenire per curanre o bloccarne il decorso. Il dono è un modo che ognuno ha per partecipare attivamente allo studio di patologie che ci affliggono».