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I nostri ricercatori
Chiara Segré
pubblicato il 19-03-2018

A caccia delle cause genetiche dell’epilessia



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Fabrizia Guarnieri studia il ruolo della proteina sinapsina durante lo sviluppo embrionale del sistema nervoso per capire come questo influisca la genesi dell’epilessia

A caccia delle cause genetiche dell’epilessia

L’epilessia è un disordine neurologico cronico che colpisce circa l’un per cento della popolazione. Soltanto in Italia si registrano cinquecentomila casi. Si tratta di una malattia molto eterogenea sia nelle sue manifestazioni cliniche che nelle cause genetiche o ambientali.  Ne esistono infatti, oltre quaranta forme, alcune delle quali estremamente invalidanti poiché le crisi, anche molto frequenti, possono compromettere lo stato di coscienza e interferire con le mansioni quotidiane, l’educazione scolastica e l’impiego lavorativo. Le terapie farmacologiche ad oggi disponibili tengono sotto controllo il sintomo, cioè la crisi epilettica, ma non sono curative. Si tratta perciò di farmaci che il paziente deve prendere per tutta la vita, salvo per alcune forme di epilessia infantile che regrediscono con l’età, e che spesso comportano gravi effetti collaterali. Inoltre, solo il 50 per cento dei pazienti riesce a controllare efficacemente le crisi: in un ulteriore 25 per cento dei casi c’è una riduzione importante della gravità della patologia, ma nel restante 25 per cento dei pazienti i benefici della terapia sono scarsi e l’epilessia è definita farmacoresistente. La ricerca su questa malattia e sui meccanismi che la determinano è quindi essenziale per sviluppare nuove modalità di trattamento. Su questo lavora Fabrizia Guarnieri, che nel 2018, grazie a una borsa di ricerca della Fondazione Umberto Veronesi, potrà trascorrere un semestre di lavoro e specializzazione all’Istituto di Neurobiologia del Mediterraneo a Marsiglia.
 

Fabrizia, in cosa consiste la tua ricerca? 

«Studio il ruolo di una gene e della sua proteina corrispondente, chiamata sinapsina I, nella genesi e nello sviluppo dell’epilessia. Mutazioni in questi geni si ritrovano in pazienti epilettici. Questa proteina regola il rilascio dei neurotrasmettitori e quindi il funzionamento dei neuroni. Topi senza sinapsina I  ricapitolano i tratti epilettici dei pazienti e, perciò, sono un buon modello per lo studio. L’obiettivo del progetto è definire se la mancanza di sinapsina determini difetti di formazione dei circuiti neuronali durante lo sviluppo cerebrale, ad esempio nella migrazione o localizzazione nella corteccia cerebrale o difetti nel numero di sinapsi».


Cosa ti aspetti dal periodo all’estero?

«Avrò modo di acquisire tecniche nuove e all’avanguardia per lo studio dei difetti nella formazione delle sinapsi e dei corretti circuiti neuronali che possono essere alla base di epilessia dovuta a mutazioni geniche».


Quali prospettive apre il tuo progetto per le applicazioni sulla salute umana?

«Questo progetto consentirà, dal punto di vista scientifico, di acquisire nuove conoscenze sui meccanismi patologici dell’epilessia.  Questo è di estrema rilevanza per la generazione di nuovi farmaci che possano arrestare la genesi della malattia».


Come ti vedi fra dieci anni?

«Capo laboratorio capace in Italia, sperando in sempre maggiori investimenti e infrastrutture che possano supportare la scienza del nostro Paese».


Cosa ti piace di più della ricerca?

«La continua necessità di fronteggiare problemi e trovare soluzioni sempre differenti. Ciò obbliga a una continua flessibilità mentale».


E cosa invece eviteresti volentieri?

«La delusione quando una strada che si è percorsa con passione e dedizione si rivela fallimentare».


Cosa ne pensi dei complottisti e delle persone contrarie alla scienza per motivi ideologici?

«A chi ha avuto la fortuna di studiare materie medico-scientifiche, i movimenti di contestazione degli ultimi anni (caso Stamina, no-vax, movimenti per l’abolizione della sperimentazione animale) appaiono spesso assurdi e ingiustificati. Ciò non può che essere dovuto a una inadeguatezza del mondo scientifico nel trasferire le proprie conoscenze, in modo costante ed efficace, a chi di scienza non si occupa tutti i giorni».  


Qual è il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?

«Fare ricerca apre la possibilità di scoprire quotidianamente la meravigliosa complessità del mondo e dell’essere umano. In più, fare ricerca in campo biomedico ha una componente vocazionale nel lavorare per il benessere di tutti».


Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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