Alcuni geni rivelano le probabilità di una nascita imminente alla comparsa dei primi segnali di travaglio. Il test è stato sperimentato in Canada su 150 donne
Con un semplice prelievo del sangue si potrà in futuro predire se segnali premonitori di parto pretermine evolveranno in una nascita imminente. È quanto promette un test ideato da un gruppo di ricercatori del Lunenfeld-Tanenbaum Research Institute del Mount Sinai Hospital di Toronto (Canada), già in uso in Canada e negli Stati Uniti.
IL TEST
Sono nove geni a dire se una mamma porta in grembo un bimbo ansioso di venire al mondo. La loro presenza nel sangue sembrerebbe, infatti, in grado di accertare nel 70% dei casi se il travaglio, dopo i primi segnali, sta avendo inizio o se, invece, occorrerà attendere ancora qualche tempo. Il test è già stato sperimentato su un gruppo di 150 donne ed ha un importante obiettivo: «Vorremmo arrivare a discriminare con questo esame, focalizzando la nostra attenzione in particolare su tre geni (DHHC19, HPGD e GPR84) – spiega il professor Stephen Lye, dell’Istituto canadese e tra gli autori del lavoro scientifico pubblicato sulla rivista Plos One – i veri e i falsi casi di parto imminente.
Molte donne vengono oggi ricoverate senza un reale motivo: nelle nostre intenzioni, grazie a questo test, potremmo prestare a coloro che sono prossime al parto le cure appropriate e attuare negli altri casi terapie di supporto, dimettendo le future mamme in attesa del lieto evento». Il test, che non presenta controindicazioni, nelle aspettative dei ricercatori potrà essere eseguito su tutte le donne come parte di un esame del sangue di routine. Oggi la diagnosi di parto pretermine viene eseguita tramite l’analisi della fibronectina fetale (una glicoproteina prelevata dalle secrezioni vaginali con un tampone dopo la 22ª settimana), il cui risultato talvolta può essere influenzato da fattori esterni e fornire ‘falsi’ positivi (cioè l’indicazione di un parto imminente). Un errore che il nuovo test prometterebbe di evitare.
IL PARERE DELL’ESPERTO
«Lo studio, interessante – spiega Tullia Todros, direttore della divisione di ginecologia e ostetricia 2 dell’Ospedale Sant’Anna - Città della Salute di Torino - applica una metodica nuova per individuare le donne a rischio di partorire entro 48 ore dal momento dell’accesso in pronto soccorso». Pur fornendo informazioni utili per la comprensione di uno dei problemi insoluti dell’ostetricia moderna, lo studio ha tuttavia alcuni limiti che impediscono il trasferimento dei risultati alla pratica clinica. «Il numero di donne su cui è stato testato è ancora troppo ristretto - commenta la specialista - e limitato alle future mamme australiane.
Ciò comporta che i risultati ottenuti potrebbero non essere validi applicati ad altre popolazioni». Ma soprattutto il test da solo sembra avere sensibilità (capacità di riconoscere le donne che partoriranno entro 48 ore, ndr) e specificità (capacità di riconoscere le donne che non partoriranno entro 48 ore, ndr) limitate (70% e 75% rispettivamente), quindi scarsa accuratezza diagnostica. «Questa migliora – continua la Todros – quando si applica un modello in cui vengono presi in considerazione altri markers (indici di infiammazione/infezione sul sangue materno, fibronectina fetale).
A oggi esistono modelli di predizione del parto pretermine come la lunghezza del collo dell’utero (cervicometria), da sola od in associazione ad altri test biochimici sulle secrezioni vaginali correntemente utilizzata negli ospedali, compresi quelli italiani, che superano questo limite e garantiscono accuratezza diagnostica sovrapponibile a quella test proposto».