Durante il suo lungo percorso per diventare madre, Martina si è scontrata con parole superficiali, dure e dolorose, pronunciate da amici, parenti e professionisti poco empatici
Martina è una donna infertile che ha vissuto la poliabortività. Grazie alla Procreazione Medicalmente Assistita oggi è mamma di Tommaso, uno splendido bambino arcobaleno, ma durante il suo percorso si è spesso scontrata con parole inopportune, pronunciate da persone poco empatiche. Proprio per provare a cambiare la narrazione e il linguaggio, spesso poco rispettoso, sui temi della fertilità, Martina ha partecipato alla realizzazione del manifesto ”Il linguaggio della fertilità”, creato da IVI, clinica specializzata nella medicina della riproduzione, in collaborazione con Strada per un Sogno Onlus e Oneofmany. Ecco la sua storia.
IL DOLORE DELL’INFERTILITÀ
«L'infertilità causa una sofferenza enorme, poco compresa dalle persone esterne. Non solo perché si tratta di un dolore astratto con cui è difficile empatizzare, ma anche perché chi ne soffre tende a non parlarne e a chiudersi in sé stesso», racconta Martina. «Che l’infertilità sia un tabù molto diffuso nella nostra società è senza dubbio vero, ma in realtà il pregiudizio parte proprio da chi si trova ad affrontare una difficoltà nel concepire. Specialmente noi donne siamo le prime a sentirci difettose e colpevoli, perdendo di vista il fatto che l’infertilità è una patologia. Quello che ho fatto io è stato indossare una maschera sorridente, impedendo alle persone di entrare in contatto con il mio dolore».
UNA NUOVA MARTINA
«L'infertilità mi ha tolto tutto per molti anni – ricorda Martina –: la gioia di vivere, tempo, denaro, serenità e i miei sogni di maternità, ma mi ha paradossalmente anche dato molto, insegnandomi a distinguere i rapporti davvero importanti e ricchi di valore da quelli deboli. In particolare il rapporto con mio marito si è fortificato moltissimo: vivendo questo inferno insieme ci siamo conosciuti meglio, ci siamo supportati e ne siamo usciti per fortuna vincitori, senza scordarci tutto quello che abbiamo passato. Inoltre, per confrontarmi con persone che stavano vivendo la mia stessa disavventura e sentirmi meno sola ho aperto un profilo social su Instagram dove ho iniziato a raccontare la mia esperienza di infertilità (@alla_ricerca_di__te, ndr). Nonostante siamo tantissime, infatti, ci sentiamo abbandonate perché non conosciamo le storie altrui, nessuno ne parla e tutto rimane nel silenzio. Con questo profilo ho trovato invece un mondo di donne estremamente solidali con le quali ci siamo date conforto. In fondo l'infertilità mi ha dato tanto, sono una persona diversa oggi».
TOMMASO, BAMBINO ARCOBALENO
«Dopo sette anni di tentativi, quattro in maniera naturale e tre con PMA, e dopo tre aborti – continua Martina – è arrivato Tommaso, il mio bambino arcobaleno. Si chiamano così i neonati che, con la loro nascita, portano nuova luce nella vita dei genitori che hanno vissuto uno o più aborti, o perdite perinatali. Nonostante le difficoltà di concepimento fossero evidenti, inizialmente abbiamo continuato a provare senza rivolgerci a uno specialista per non ammettere l’esistenza di un problema. Dopo quattro anni, però, abbiamo deciso di recarci in un centro specializzato. Prima di avere Tommaso grazie al mio percorso in IVI, ho fatto svariati tentativi anche in altri centri. Sono stati anni veramente difficili perché quando resti incinta assapori per un pochino di tempo l'idea di diventare mamma, cominci a vivere il sogno che sta per diventare realtà, ma con gli aborti svanisce tutto. Non perdi solo un bambino ma anche le speranze, e a risentirne è soprattutto la vita di coppia. L'umore di entrambi, infatti, va sotto terra e devi fare i conti con una stanzetta che continua a rimanere vuota che è lì a ricordarti costantemente la difficoltà di concepimento».
COME GESTIRE L’INSISTENZA
«Gli anni in cui non arrivava nessun bambino sono stati difficilissimi», confida Martina. «Per strada, in spiaggia, al lavoro ero circondata da pance e da bambini che chiamavano le altre donne “mamma”. Inoltre, mi sono scontrata spesso con parole inopportune. La domanda “ma quando fate un figlio?” era all’ordine del giorno. Inizialmente, mentendo, rispondevo che non ne volevo, che preferivo godermi mio marito e fare viaggi. Con il passare del tempo, invece, ho cominciato a spiegare che ci stavamo provando, mentre alla fine, esausta e stanca di sentire battute come “se volete vi insegno io come si fa”, ho cominciato a dire la verità: ho avuto degli aborti, i figli non arrivano e forse non arriveranno mai. Ero esasperata, l’unica cosa che speravo era che le persone stessero in silenzio perché non avevo più le forze per affrontare parole dure che per me erano come proiettili».
LE PAROLE CHE FERISCONO
«Le frasi dolorose che ho sentito rivolgermi nel corso degli anni sono state molte – ricorda Martina –, legate non solo ai figli che non arrivavano, ma anche agli aborti e infine alla decisione di avvalerci della PMA per cercare una gravidanza. Con il tempo ho capito che l’intento non era essere crudeli o insensibili, si trattava semplicemente di persone non abituate ad avere a che fare con questa condizione. Non lo fanno con cattiveria, dicono solo la prima cosa che viene loro in mente non sapendo che di fronte hanno una persona che sta soffrendo terribilmente. Perché spesso, chi soffre molto, indossa una maschera per non lasciar trapelare il proprio dolore e il resto del mondo percepisce di sentirsi libero di dire qualsiasi cosa. Ho dovuto confrontarmi più volte con frasi insensibili anche in riferimento ai miei aborti. Quando mi hanno detto “quelli erano solo ammassi di cellule”, mi sono sentita ferita e solamente quando ho avuto il mio bambino tra le braccia ho avuto una forza che mi era sempre mancata, riuscendo finalmente a rispondere che Tommaso è il mio quarto figlio. Non sono mancati i commenti sulla PMA definita una “tecnica innaturale” con la quale mi stavo “accanendo” o “andando contro il volere di Dio”.
CHE LINGUAGGIO USARE?
«L’obiettivo del manifesto “Il linguaggio della fertilità”, alla cui realizzazione ho preso parte con estremo entusiasmo, è proprio quello di fornire spunti di riflessione a medici, amici e parenti per usare un linguaggio più empatico e delicato nei confronti della fertilità, degli aborti e della PMA. Avendo vissuto sulla mia pelle cosa significa ascoltare frasi pronunciate con leggerezza, alle volte dure, ma quasi sempre dolorose, mi sento di consigliare a tutti quanti di evitare domande troppo personali su figli e maternità quando non si conosce la storia di una donna o di una coppia. Inoltre, provare ad immedesimarsi nelle persone che stanno affrontando un percorso di infertilità complesso, evitando di farle sentire in colpa e giudicate, è sempre una buona idea. Sapere cosa dire quando si affrontano certi argomenti alle volte è difficile, me ne rendo conto, in questo caso sarebbe sufficiente mostrare comprensione e vicinanza con una semplice frase come “Mi dispiace che ti stia succedendo questo e sono qui se vuoi parlare”».
«Mi piacerebbe fare anche una piccola riflessione sui medici – conclude Martina –: dopo la diagnosi di infertilità le coppie sono come dei contenitori vuoti che vengono riempiti con le parole dello specialista. Per questo usare parole prive di giudizio e un tono morbido, dolce, delicato, comprensivo, che fornisca una qualche speranza e vicinanza, è per noi di importanza fondamentale».
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile