Nei pazienti fragili che non rispondono efficacemente alla vaccinazione, la profilassi con tixagevimab e cilgavimab rappresenta un valido aiuto nel prevenire Covid-19. Ancora poche le prescrizioni
Ci sono persone che non rispondono efficacemente alla vaccinazione contro Covid-19. E' questo il caso dei pazienti fragili come gli individui immunocompromessi o i pazienti oncologici in trattamento chemioterapico. Per loro la soluzione è rappresentata dall'utilizzo degli anticorpi monoclonali sotto forma di profilassi. La somministrazione della combinazione di tixagevimab e cilgavimab, già approvata in Italia, stenta però a decollare.
ANTICORPI MONOCLONALI CONTRO SARS-COV-2
Nella lotta a Covid-19 gli anticorpi giocano un ruolo cruciale. Sin dai primi mesi della pandemia l'isolamento dei più efficaci dal plasma dei pazienti e la successiva produzione su larga scala è parsa essere una delle principali soluzioni per neutralizzare il coronavirus. E' questo il caso degli anticorpi monoclonali, anticorpi riprodotti in laboratorio in quantità illimitata e per un numero infinito di volte che rappresentano un concentrato delle migliori armi del sistema immunitario per colpire il virus. Pur non essendo "farmaci" in grado di agire bloccando la replicazione del virus, l'utilizzo di efficaci anticorpi monoclonali è stato pensato per ridurre al minimo i danni causati dal virus. Ad oggi sono infatti diverse le combinazioni di anticorpi monoclonali approvate nel trattamento degli individui affetti da Covid-19.
IL RUOLO DELLA PROFILASSI
Come per tutti gli anticorpi monoclonali, un possibile ulteriore utilizzo è quello in chiave di profilassi, ovvero l'iniezione di anticorpi al fine di neutralizzare il virus in caso di contagio. Una strategia che su larga scala non si è resa necessaria grazie all'arrivo sul mercato dei primi vaccini contro Covid-19. Esistono però dei casi in cui la vaccinazione non funziona efficacemente e per i quali è necessaria una protezione supplementare al vaccino. «La combinazione di tixagevimab e cilgavimab -spiega Giuliano Rizzardini, Direttore Responsabile Malattie Infettive 1 presso l'Ospedale Luigi Sacco di Milano- rappresenta un'importante opzione in grado di prevenire la malattia nei pazienti che hanno risposto in modo insufficiente al vaccino. Una singola dose, facilmente somministrabile per via intramuscolare, determina una protezione duratura, per almeno 6 mesi». In particolare, secondo quanto ottenuto nello studio internazionale di fase 3 PROVENT -pubblicato sul new England Journal of Medicine- che ha coinvolto 5200 persone, è emerso che l'utilizzo dei due anticorpi monoclonali ha portato -a sei mesi dall'iniezione- ad una riduzione del rischio di sviluppare Covid-19 pari all'83%.
PER CHI E INDICATA LA PROFILASSI?
Ma chi sono esattamente le persone che necessiterebbero della profilassi? Secondo gli addetti ai lavori i pazienti potenzialmente candidabili sono quelli trapiantati, quelli affetti da patologie onco-ematologiche in trattamento chemioterapico attivo e le persone in trattamento con farmaci immunosoppressori per malattie reumatologiche, neurologiche e le persone con immunodeficienze primarie. Ad oggi si calcola che siano circa 150 mila i potenziali candidati. «Eppure, nonostante i pazienti fragili ed immunodepressi siano molto numerosi ed i numeri della pandemia non stiano diminuendo nemmeno nel periodo estivo, finora il loro utilizzo nel nostro Paese è stato insufficiente» aggiunge Rizzardini.
La Commissione Tecnico Scientifica di AIFA ha da poco ampliato la possibilità di trattamento con questa combinazione nei soggetti ad alto rischio di malattia COVID-19 severa. Tale profilassi potrà essere prescritta, nell’ambito delle categorie di rischio già identificate, senza la necessità di effettuare la sierologia per anticorpi contro Sars.Cov-2. La Commissione ha stabilito di lasciare al clinico la decisione di trattamento in base alla valutazione del singolo paziente, in considerazione dell’impossibilità di definire un cut-off affidabile relativamente alla presenza o all’assenza di protezione sulla base di uno specifico livello di anticorpi, e in considerazione del fatto che la selezione dei pazienti a rischio è comunque affidata a un ambito altamente specialistico.
MIGLIORARE L'ACCESSO
A spiegare le ragioni dello scarso utilizzo è Matteo Corradin, Dirigente Unità Operativa Polo Ospedaliero della Regione Lombardia: «Diversi ostacoli hanno limitato finora l’uso di questo farmaco per la prevenzione della malattia Covid sintomatica a partire dal vincolo costituito da un test sierologico negativo, rimosso da AIFA anche a seguito di nostre sollecitazioni. Ora è necessaria un'ulteriore accelerazione per somministrare il farmaco ai pazienti che richiedono una protezione aggiuntiva al vaccino. Invieremo quanto prima una nota ai Direttori Generali per sollecitarli nuovamente all'utilizzo della combinazione di monoclonali per la profilassi del Covid».
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.