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Daniele Banfi
pubblicato il 04-01-2022

Omicron: più contagiosa, meno virulenta. Cosa significa?



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La variante rappresenta il virus più contagioso di sempre. Una caratteristica che lo ha portato in parte a perdere in virulenza. Il minor impatto sul singolo individuo è però largamente dovuto alla vaccinazione

Omicron: più contagiosa, meno virulenta. Cosa significa?

Ogni giorno che passa si accumulano conoscenze sulla variante Omicron. Diversi studi pubblicati nelle ultime settimane cominciano a fare luce sulle nuove caratteristiche della nuova "versione" di Sars-Cov-2. La buona notizia è che sempre più ricerche indipendenti stanno confermano che la malattia causata dalla Omicron sembra essere meno "forte" rispetto a quella causata dalla variante Delta. Quella cattiva è che il virus, essendo estremamente più contagioso, può portare comunque ad un sovraccarico delle strutture ospedaliere. Resta ancora da chiarire se la ridotta virulenza è in grado di compensare l'estrema contagiosità nel non mettere fuori gioco i nostri ospedali. Perché se una malattia meno severa è un bene per il singolo individuo, l'elevata contagiosità rappresenta sempre un problema per la tenuta del sistema sanitario. Un dato è però certo: con la vaccinazione -ed in particolare la terza dose- le probabilità di ricovero e decesso dovute all'infezione da Omicron crollano drasticamente.

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CHE COSA SONO LE VARIANTI?

Qualsiasi virus, quando si moltiplica, porta con sé degli errori di “copiatura” nel proprio codice genetico. Sars-Cov-2 non è da meno. Dalla prima sequenza conosciuta e depositata ad inizio gennaio 2020 ad oggi sono moltissime le mutazioni che si sono andate a creare. Si tratta di un fenomeno del tutto naturale. Più il virus si moltiplica e più è soggetto ad errori. Sul fronte Sars-Cov-2 quando queste mutazioni si accumulano nel tempo o comunque quando si verificano alcune particolare condizioni (come l’infezione nelle persone immunocompromesse) può accadere che il virus cambi le proprie caratteristiche al punto tale da dare origine ad una variante virale rispetto al virus originale. Oggi la variante virale che sta "trainando" la nuova ondata di contagi è la variante Omicron, isolata ad inizio dicembre in Sudafrica e subito sotto la luce dei riflettori per l'alto numero di mutazioni presenti rispetto alla variante Delta.

MECCANISMO D'AZIONE DIFFERENTE

La caratteristica principale della variante Omicron è la sua elevatissima contagiosità. Le ondate in corso -mai paragonabili per numero rispetto alle precedenti- in gran parte dell'Europa e Stati Uniti sono la dimostrazione diretta di quanto il virus sia molto più trasmissibile della variante precedente. Il grande dubbio degli scienziati era però relativo ai primi dati che arrivavano dal Sudafrica e poi dal resto delle nazioni colpite da Omicron. All'aumentare dei contagi, il rapporto tra ricoveri e decessi non seguiva la stessa dinamica delle ondate precedenti in cui già erano disponibili i vaccini. Partendo da questa considerazione sono iniziati numerosi studi volti a comprendere quali fosse le nuove caratteristiche della variante Omicron.

Uno dei più solidi, realizzato un team internazionale guidato dal professor Ravindra Gupta del Cambridge Institute for Therapeutic Immunology and Infectious Diseases, ha scoperto attraverso studi in vitro che la Omicron -rispetto alle altre varianti- perde efficienza nel processo di ingresso delle cellule. Interagendo meno efficacemente con la proteina TMPRSS2, il virus perde la sua capacità di formare "sincizi", particolari strutture la cui presenza è responsabile della gravità della malattia. Una caratteristica che spiegherebbe almeno in parte la minore severità dell'infezione. Dati confermati sia in un'analisi dell'Università di Galsgow sia in un ulteriore studio, realizzato su modello animale, dal consorzio giapponese G2P. Risultati incoraggianti a cui si aggiungono quelli ottenuti analizzando i tessuti infettati in cui, danni e replicazione da parte di Omicron, sembrano essere inferiori rispetto alle varianti precedenti. Il virus dunque, stando agli studi preliminari, sarebbe sì più contagioso ma meno capace di creare danno rispetto alla variante Delta. 

I DATI REAL-LIFE

Il vero problema riguardante la valutazione della minor capacità di creare danni da parte della variante Omicron è però relativa alla presenza di diversi fattori "confondenti". Età media dei contagiati e percentuale di persone già vaccinati sono solo alcuni che potrebbero infatti "falsare" le conclusioni. I dati epidemiologici relativi al numero di contagi, ospedalizzazioni e decessi cominciano però ad indicare che al di là dell'età e dello status vaccinale la malattia da Omicron sembrerebbe meno severa come osservato negli studi in vitro e negli animali. Ad affermarlo è uno studio condotto in Canada in cui i ricercatori della University of Toronto hanno comparato gli esiti dell'infezione da Delta e da Omicron a parità di condizioni. Nello studio, effettuato su 6 mila persone, è emersa una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi: le infezioni da Omicron hanno prodotto meno ricoveri.

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IL MURO DEI VACCINI

Nell'attesa di dati più solidi, ciò che è certo è l'impatto che la vaccinazione sta avendo contro la variante Omicron. Come già registrato per le altre ondate post-vaccinazione, all'aumentare dei casi non segue più l'aumento di ricoveri e decessi registrato nell'epoca prima dell'arrivo dei vaccini. Non solo, dati inglesi alla mano, la variante Omicron costringe al ricovero in ospedale un terzo delle volte rispetto a Delta. Ma la variante Omicron, pur sfuggendo con maggiore facilità al riconoscimento da parte degli anticorpi, viene neutralizzata molto efficacemente nelle persone che hanno ricevuto la dose booster. I dati lasciano poco spazio alle interpretazioni: grazie alla dose aggiuntiva la protezione contro la malattia severa raggiunge nuovamente livelli molto elevati. Ma c'è di più perché la risposta delle cellule T (il sistema immunitario non è solo anticorpi, le cellule T sono utili per riconoscere ed eliminare le cellule infettate dal virus) non viene affatto intaccata dalla variante Omicron. Un dato in più che conferma come una pregressa immunità indotta dalla vaccinazione è in grado di proteggere da forme severe della malattia.

Tutti i dati indicano dunque che di fronte a questa nuova variante non siamo affatto al punto di partenza. L'incognita rimane la maggiore infettività. Un virus meno virulento ma molto più infettivo rappresenta comunque un problema di tenuta del sistema sanitario, soprattutto nelle persone non vaccinate. Ad oggi non sappiamo ancora se il ridotto impatto del virus, dovuto sia alla vaccinazione sia al cambiamento del suo modo di infettarci, sia sufficiente a compensare la sua grande contagiosità. Un dato è però certo: con la vaccinazione il livello di protezione torna a livelli elevatissimi. In Italia, nella prima settimana di gennaio, il 7% della popolazione over-50 non ha ancora ricevuto -pur avendone la possibilità- una sola dose di vaccino. Il virus corre laddove trova campo libero. In chi non lo ha mai incontrato o non si è mai vaccinato, il virus è tutt'altro che un'influenza.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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