Ne è convinto Alberto Martinelli, vicepresidente della conferenza «Science for Peace and Health». «Uomo e macchina insieme per migliorare la salute»
Intelligenza artificiale, machine-learning, robotica, reti neurali: sono solo alcune delle espressioni che ci fanno pensare a trasformazioni rapidissime che pochissimi comprendono e forse nessuno potrà controllare. È davvero così?
«L’intelligenza artificiale è un ramo dell’informatica che studia la programmazione, la progettazione e lo sviluppo di sistemi hardware e software miranti a dotare le macchine di una o più caratteristiche considerate tipicamente umane», esordisce Alberto Martinelli, docente emerito di sociologia e scienza politica all’Università degli Studi di Milano e vicepresidente della conferenza «Science for Peace and Health». «È il caso, per esempio, dell’apprendimento, della percezione visiva o spazio temporale, dell’interazione con l’ambiente, della pianificazione di attività e dei ragionamenti connessi. Le macchine dotate di intelligenza artificiale sono in grado di prendere decisioni autonomamente in vista di un fine, prerogativa fino a oggi affidata agli esseri umani».
Se così concreta, perché l’intelligenza artificiale ha ancora l’aura di qualcosa di magico?
«Si tratta di un sapere specialistico, come lo sono ormai gran parte dei saperi, a cui la letteratura e la filmografia hanno contribuito a dare questa immagine quasi esoterica. Dimentichiamoci però la magia. L’intelligenza artificiale è qualcosa di squisitamente tecnico, frutto di un lavoro decennale da parte degli esperti di informatica di tutto il mondo. Le sue applicazioni sono potenzialmente infinite e possono riguardare diversi ambiti, industriali e domestici».
Ci faccia degli esempi.
«Pensiamo all’utilizzo della nostra voce come input per alcuni dispositivi, oppure ai sistemi di domotica in grado di regolare la temperatura, l’umidità o l’illuminazione in base alle nostre preferenze. Sono congegni non eccessivamente complessi, ma che facilitano la gestione delle nostre case e migliorano la qualità della nostra vita. Oppure pensiamo alla pubblicità che compare ai lati della nostra casella di posta elettronica. Quei banner sono personalizzati in base agli acquisti online che abbiamo fatto o ai dati raccolti durante la nostra navigazione. Sono suggerimenti di acquisto che mirano a influenzare il processo decisionale dell’utente. Mi raccontava un amico che ormai non riesce più a fare una sorpresa alla moglie perché, non appena cerca qualcosa online, alla moglie compaiono pubblicità di prodotti simili. Il risultato è che alla fine il mio amico, per paura di essere scoperto, va a fare compere nei negozi».
Altre applicazioni?
«Ve ne sono diverse nell’ambito dell’analisi di immagini statiche o video per il riconoscimento di oggetti, persone o animali. Questi sistemi si stanno diffondendo principalmente nell’ambito della videosorveglianza. Pensiamo poi ai veicoli a guida autonoma o alla valigia intelligente che, attraverso una connessione bluetooth, è in grado di individuare la posizione del proprietario tramite uno smartphone. O, ancora, ai software di elaborazione del linguaggio, per comprendere o tradurre testi».
E in ambito sanitario?
«Le applicazioni dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario sono numerose e ci si aspetta che in futuro si registri una forte crescita a livello mondiale. Tuttavia, come non si stancava di ripetere Umberto Veronesi, il rapporto umano nel processo di cura è imprescindibile e insostituibile. Per questo la Commissione europea ha emanato delle linee guida etiche in cui si chiede, sostanzialmente, che sia sempre presente un controllo umano sulla macchina. In questo modo un software potrà aiutare l’uomo, senza però ridurne l’autonomia di giudizio e azione. Per esempio, l’intelligenza artificiale consente di effettuare una diagnosi sulla base dei dati clinici (e non) del paziente, ma non potrà sostituirsi al medico. La macchina consentirà invece al medico di ridurre i tempi necessari a cercare i dati e a incrociare le informazioni necessarie a formulare una diagnosi. Così il tempo che il medico risparmierà, potrà essere dedicato alla cura del dialogo e della relazione con il paziente».
Sappiamo però come, soprattutto in ambito sanitario, sia necessario proteggere la privacy dei pazienti. Com’è possibile conciliare questa esigenza con la diffusione di dispositivi che sfruttano l’intelligenza artificiale?
«Questo è un altro degli aspetti menzionati dalla Commissione. È necessario garantire la massima sicurezza nel trattamento di dati sensibili come quelli di tipo clinico. Ricordiamoci però che, a fronte del diritto alla privacy, c’è il dovere di non compromettere la salute degli altri, negando l’accesso a informazioni che riguardano il nostro stato di salute. Nella pandemia di questi mesi abbiamo compreso che i nostri dati possono essere utilizzati per effettuare analisi epidemiologiche, identificare in anticipo possibili rischi di contrarre malattie e fornire altre informazioni che, se ben utilizzate, possono salvare molte vite».