Due studi indagano i ritmi e le connessioni temporali di vari organi. E andare "fuori orario" con i reni o l’intestino può provocare problemi di salute
«Sai l’ora?». Forse anche il fegato e il pancreas si scambiano questa domanda, perché ogni nostro apparato, financo alcune cellule, ha un proprio orologio. Ma non sempre è in contatto diretto con la luce (e il buio) che è il massimo indicatore del tempo. Da un “vicino” può venire l’informazione giusta. Questi misuratori del tempo vengono chiamati “periferici” in contrapposizione all’orologio biologico centrale, detto masterclock, che è situato nell’ipotalamo (“nucleo soprachiasmatico”) e in connessione diretta con gli occhi. Fino a non molto tempo fa si pensava che segnasse il tempo per tutto l’organismo. E’ dagli anni ’70 che si ha la certezza della sua esistenza ed è negli ultimi 10 anni che gli studi si sono concentrati sugli orologi periferici col sospetto che non siano poi sempre soggetti “ubbidienti”, bensì con qualche pretesa di autonomia.
A CIASCUNO IL SUO TEMPO
Due studi che arrivano dall’Università della California a Irvine (Usa) insieme con l’Istituto di ricerca in biomedicina di Barcellona (Spagna) sono stati basati su speciali indagini sui topi e diretti a capire le connessioni temporali di organi interni. «I risultati sono stati piuttosto sorprendenti», ha dichiarato uno dei ricercatori Usa, Paolo Sassone-Corsi. «Nessuno sospettava che il fegato o la pelle fossero così direttamente influenzati dalla luce». E spiega che anche escludendo tutti gli altri orologi biologici, compreso quello centrale nel cervello, si è visto che il fegato "sapeva che ora era", rispondeva ai cambiamenti del giorno che sfumava nella notte e manteneva le sue funzioni critiche: prepararsi a digerire il cibo all’ora di cena (o pranzo) e convertire il glucosio in energia.
IL FEGATO SI ACCORGE SE DI NOTTE GUARDIAMO LA TV?
In qualche modo, commentano i ricercatori il cui lavoro è comparso nella rivista Cell, l’orologio circadiano del fegato era stato capace di captare la luce, probabilmente da segnali di altri organi. Solo quando i topi da laboratorio venivano tenuti costantemente al buio anche l’orologio del fegato (finalmente) si fermava. Nella luce c’è la vita, si dice. Ma c’è anche il tempo. Il nostro organismo è impiantato dentro il ritmo circadiano, vale a dire un tempo di 24 ore (dal latino circa diem: intorno al giorno) comprendente il giorno e la notte, il duo luce/buio. Per tornare al fegato, i ricercatori sostengono che potrebbe pure accorgersi che, di notte, noi stiamo guardando la televisione o lo schermo del cellulare e allora può mandare all’aria il ritmo circadiano, esponendoci a problemi di salute. Del resto, avverte Sassone-Corsi, lo studio ha implicazioni vaste: possiamo studiare sui roditori dell’esperimento le vie metaboliche che controllano i nostri ritmi circadiani, i processi dell’invecchiamento e il benessere complessivo. In precedenza il gruppo aveva studiato come si potevano regolare gli orologi circadiani attraverso la deprivazione del sonno, la dieta e l’esercizio fisico e come, invece, stare davanti a computer, televisione e smartphone possa mandare in confusione gli orologi interni.
VITA MODERNA E I RISCHI DEL FUORI-ORARIO
Dati i ritmi della vita moderna questo è facile che accada e le conseguenze possono non essere da poco: depressione, allergie, invecchiamento precoce, cancro ed altri problemi di salute. «Prima dell’introduzione della luce elettrica anche l’uomo viveva secondo la scansione luce/buio che corrispondeva ad attività/riposo», osserva il professor Roberto Manfredini, cronobiologo dell’Università di Ferrara. «Tuttavia come sincronizzatori non agiscono sui nostri organi soltanto il giorno e la notte. Per esempio l’orologio renale registra il tempo rispetto a quando gli arrivano acqua ed elettroliti, l’apparato gastro-intestinale riconosce il cibo e quando gli arriva. Se vogliamo desincronizzarlo, mangiamo “fuori orario”, di notte, e ci saranno conseguenze sul ciclo della glicemia e il possibile imporsi di malattie metaboliche. Questi sono i rischi ben noti che corrono i lavoratori turnisti, che cambiano di continuo il loro giorno/notte». Un esempio che conosciamo quasi tutti è l’effetto jet-lag dopo un viaggio aereo attraverso vari fusi orari: ci si sente “sfasati”, non si ha voglia di mangiare o di dormire oppure tutto il contrario perché i nostri orologi biologici hanno perso il tempo.
IL CUORE “SI ALIMENTA” DI GIORNO
Per tornare al legame tra i tanti orologi dell’organismo oramai è chiaro – dice il professor Manfredini – che quello centrale più che un capo indiscusso è un direttore di orchestra che deve coordinare e far risuonare in modo armonico tutti i diversi segnali orari. «Può essere che il masterclock diffonda le indicazione su luce/buio, come accade che i vari organi si passino le informazioni tra di loro. Sappiamo che hanno un loro orologio il fegato, l’intestino, il rene, i muscoli, forse anche le cartilagini osteoarticolari. Sempre nuovi se ne stanno scoprendo». E il cuore? «Il cuore usa come “benzina” gli acidi grassi ed è abituato a riceverli nelle ore diurne. Per questo appuntamento si prepara. Ma se noi glieli diamo quando non è preparato, fuori dai suoi orari, per esempio tanti grassi di sera… significa dare uno scossone al cuore. Non è tanto salutare».
Fonti
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.