I big data rappresentano una miniera di informazioni del nostro mondo e del nostro corpo. Se ne discute a «The Future of Science», in programma dal 22 al 24 settembre
Ogni due giorni il mondo produce una quantità di informazioni pari a quella generata dall’inizio della civilizzazione a oggi. Lo ha calcolato qualche anno fa l’ex amministratore delegato di Google, Eric Schmidt. E da allora le cose sono molto peggiorate (o migliorate?), perché ogni anno e mezzo i dati scambiati sul web raddoppiano.
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Queste cifre inaudite danno l’idea dell’enorme matassa di informazioni da cui siamo sempre più avvolti, colpiti e coinvolti e che vengono indicate col termine incombente, ma non ancora di uso comune, che è Big Data. Traducibile con «grandi dati», un fenomeno nuovo capace di cambiarci la vita in ogni campo. Il tema sarà al centro della dodicesima Conferenza mondiale The Future of Science in programma dal 22 al 24 settembre a Venezia, promossa dalle Fondazioni Umberto Veronesi, Giorgio Cini, Silvio Tronchetti Provera e di cui è Segretario generale Chiara Tonelli, ordinario di genetica all'Università di Milano. I dati di cui parliamo partono da un’infinità di fonti: dal nostro smartphone alle cartelle cliniche, dalla spesa pagata con la car- ta ai sensori sparsi per la città, dalle foto postate su Twitter ai data base creati da vari enti. I Big Data sanno sempre più di noi e a saperli ben usare tutte le attività a noi dedicate potrebbero migliorare di molto, a cominciare dalla medicina che è sempre più medicina di precisione.
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A saperli trovare e a ben connetterli, questi dati possono portare al progetto per New York di far sparire 8 auto su 10 monitorando migliaia di percorsi e migliaia di tempi morti nei parcheggi come ha fatto Carlo Ratti, professore al Mit di Boston, con il suo «Senseable City Lab». E ne parlerà a Venezia. Il collega Carlo Batini, del dipartimento di scienze computazionali dell’Università Bicocca di Milano, illustrerà il potenziale valore sociale dei big-data, portando l’esempio dell’Uganda: la disponibilità per le famiglie dei dati sulla qualità delle cure pediatriche negli ospedali ha permesso di ridurre di un terzo la mortalità infantile da zero a cinque anni. Stimolante e inquietante insieme il titolo dell’intervento di Giuseppe Testa: «La digitalizzazione del vivente». Docente di biologia molecolare all'Università degli Studi di Milano e direttore del laboratorio di epigenetica delle cellule staminali all’Istituto Europeo di Oncologia, Testa osserva che sia i nostri comportamenti sia il nostro io interno, inteso come organismo dal genoma in poi, sono sempre più digitalizzati. Ma manca una riflessione su quanto siano compatibili questi due mondi. C’è dunque una convergenza sempre più intima tra materia vivente e tecnologia digitale. Si valutano anche applicazioni nel campo delle neuroscienze. Quando si tocca il cervello, però, il discorso cambia sensibilmente. E cambiano i rischi. «Di tutto questo si parla come fantascienza, invece è già realizzabile oggi la perfetta integrazione tra digitale dentro di me e fuori di me», chiosa Testa. Perciò la discussione tra grandi esperti alla Conferenza mondiale di Venezia sarà quanto mai importante.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.