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Serena Zoli
pubblicato il 17-11-2012

Ruanda: tribunali sull'erba e niente pena di morte per 2 milioni di processi sul genocidio



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Il ministro della Giustizia Tharcisse Karugarama. Per riuscire a giudicare tutti e spegnere l'odio abbiamo creato tante corti tradizionali elette dalla comunità dette Gacaca. Abolita la condanna capitale e pene ridotte per permettere ai colpevoli di riabilitarsi. Oggi il Paese è riconciliato. Solo 37 mila ancora in carcere

Ruanda: tribunali sull'erba e niente pena di morte per 2 milioni di processi sul genocidio

Il ministro della Giustizia Tharcisse Karugarama: “Per riuscire a giudicare tutti e spegnere l’odio abbiamo creato tante corti tradizionali elette dalla comunità. Abolita la condanna capitale"

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Erano divenuti di colpo celebri nel mondo per una estrema barbarie: un milione di persone uccise dai concittadini in meno di tre mesi. Era il 1994. Il mondo inorridì per il genocidio del Ruanda. Oggi, alla platea internazionale riunita a Milano dalla grande conferenza di “Science for Peace”, il ministro della Giustizia di quel Paese è venuto a stupire per le scelte di grande civiltà fatte dal governo, impensabili dopo tutto quel sangue, tutto quell’orrore e la completa devastazione del tessuto sociale.

Mentre i sopravvissuti urlavano reclamando giustizia, forse e comprensibilmente più nei termini della vendetta, “i responsabili del Paese hanno capito che per ritrovare il senso di convivenza e di riappacificazione per prima cosa dovevamo abolire la pena di morte”, riferisce Tharcisse Karugarama. E, alla fine, aggiungerà pure che nel sistema giudiziario ruandese le pene tendono a venire ridotte per permettere la riabilitazione della persona che una detenzione troppo lunga – non si cita neppure l’ergastolo – impedirebbe.

Il risultato attuale, riferisce il ministro nell’affollata aula magna dell’Università Bocconi, è di un diffuso senso di appagamento per la sete di giustizia del Paese e una notevole riconciliazione nazionale raggiunta. Perché tutti i casi sono stati affrontati, tutti i colpevoli sono stati giudicati, molti sono già rientrati nella vita civile avendo già estinto la pena.

Ma per compiere questo immane sforzo – 2 milioni alla fine le cause discusse – il Ruanda ha dovuto far ricorso alla fantasia perché con i tribunali normali dopo tre anni si erano celebrati 6 mila processi. E in prigione, intanto, erano 200 mila i detenuti. “Ci sarebbero voluti più di cento anni procedendo così, al momento del processo in molti casi sarebbero già morti sia le vittime sia i colpevoli. Inoltre, è un noto principio nella cultura occidentale che una giustizia ritardata è una giustizia negata”.

Ed ecco la grande idea: i tribunali Gacaca (si pronuncia: gaciacia), che alla lettera significa “sull’erba” perché, nella tradizione, venivano messi in opera nei villaggi all’aperto, appunto sui prati. Si sono perciò istituite corti similari in cui le varie comunità hanno eletto persone integre, 450.000 in totale, e così, pur senza soldi, infrastrutture, rete governativa efficiente in un Paese talmente provato si sono celebrati in scuole, chiese, altre strutture, quei 2 milioni di processi e giudicate 1 milione e 300mila persone. "Perché questa discrepanza di cifre?”, si è chiesto Karugarama. “Perché diversi imputati sono stati sottoposti a più procedimenti”.

Ma la vera “discrepanza”, che in un primo tempo fa pensare di non aver sentito bene, è questa: attualmente in carcere per genocidio ci sono appena 37 mila persone, racconta il ministro. E nel 2015 saranno 20 mila e così via a calare vistosamente di anno in anno. Come mai così pochi puniti? “Nel 30% dei casi c’è stata l’assoluzione, innocenti. Una gran parte, che ha confessato, ha anche chiesto perdono così dopo un certo soggiorno in carcere sono stati destinati a lavori di utilità sociale e sono dunque rientrati, pur con questi compiti, nella comunità. Infine tanti hanno già scontato interamente la condanna, dato che il nuovo codice di procedura penale, come ho detto, ha di molto ridotto le pene per i vari reati”.

L’esperienza dei tribunali Gacaca si è conclusa il 18 giugno scorso, dieci anni esatti dopo la loro istituzione. E come esempio del clima di riconciliazione nazionale che si è instaurato nel Ruanda il ministro della Giustizia Tharcisse Karugarama cita quanto avvenuto durante la cerimonia pubblica: sul palco, una donna a cui nel 1994 era stata mozzata una mano si è presentata insieme all’uomo che gliel’aveva tagliata, in segno di perdono e di pace ritrovata.

Soprattutto, ricorda sempre con orgoglio il ministro, oggi i miei concittadini si dicono non più “io sono tutsi”, “io sono hutu”, ma “noi siamo ruandesi”.

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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