Più tempo si trascorre sui libri, maggiori sono i rischi di avere la vista da lontano alterata. Ma non tutte le forme vengono definite patologiche
Non è questione di materie: storia o matematica, latino o chimica in questo caso contano poco. Tutte, infatti, obbligano i giovani a stare seduti per ore a studiare. E tutte, adesso, sono implicitamente accusate di rovinare la vista, se chi studia più a lungo corre un rischio maggiore di avere la vista sfocata, negli anni a venire. L’evidenza scientifica viene in soccorso dei più svogliati. Ma sebbene il campione osservato sia ampio, ci sono alcune conclusioni discutibili che non autorizzano a mollare i libri aperti e correre in strada a giocare.
STUDIO: QUALI LE COLPE?
Con le scuole chiuse e i ragazzi meno portati a navigare in rete, la notizia potrebbe passare sottotraccia: con buona pace dei genitori. Al termine del Gutenberg Health Study, i cui risultati sono stati pubblicati su Ophtalmology e condotto su quasi cinquemila persone tra 34 e 74 anni, gli specialisti dell’università di Mainz hanno infatti evidenziato una correlazione tra gli anni che si sono dedicati allo studio - tutti i pazienti osservati erano tedeschi - e il più alto rischio di miopia, considerata anche un fattore di rischio per diverse patologie degenerative dell’occhio: tra cui la cataratta, il glaucoma (scopri come curarlo), il distacco di retina e la maculopatia. Al vertice della scala, infatti, si sono piazzati gli individui laureati (53% miopi), seguiti dai diplomati (35%) e dagli adulti che non avevano nemmeno completato le scuole superiori (24%). In aggiunta a ciò, i ricercatori - dopo aver esaminato 45 marcatori genetici - hanno notato una generale diffusione più alta della miopia in chi aveva trascorso un maggior numero di anni all’università. Un’evidenza che li ha portati a sottolineare che «rispetto a quel che si crede, la componente ambientale ha un ruolo importante nell’insorgenza della malattia, finora considerata soltanto come la conseguenza di un determinato pattern di geni».
NON UNA SOLA MIOPIA
Conclusioni a parte, però, lo studio non vale come un’arma a disposizione dei ragazzi per rimanere quanto più distanti possibile dai libri. «Ciò che non è chiaro è il grado di miopia sviluppato da queste persone - afferma Carlo Sborgia, direttore della clinica oculistica del policlinico di Bari -. esistono diverse forme e soltanto quelle molto elevate, oltre le nove diottrie, vengono definite patologiche». Non si può dunque fare di tutta l’erba un fascio, anche in considerazione dell’età dei soggetti osservati. Oltre i quarant’anni, infatti, un’alterata “accomodazione” - il meccanismo che permette di modulare la vista per mettere a fuoco un oggetto vicino o lontano - è fisiologica: il cristallino non si rilassa più e perde la capacità di focalizzare a distanza. La luce, in questo caso, gioca un ruolo cruciale: per la prevenzione si consiglia di stare più spesso all’aria aperta, un contesto che non obbliga a sforzarsi per guardare oggetti vicini. Lo stesso consiglio viene dato spesso ai genitori, alle prese con bambini sempre più precoci nell’utilizzo di computer e tablet: nel tempo libero meglio andare al parco che navigare sul divano.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).