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Stefano Masin
pubblicato il 05-02-2013

Perché siamo distratti e non concentrati



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Spiegato da ricercatori italiani il meccanismo mentale per cui il nostro cervello riesce a filtrare i distrattori che disturbano la capacità di concentrarsi

Perché siamo distratti e non concentrati

Uno studio congiunto, realizzato dai ricercatori dell'Università Milano-Bicocca, dell'Università di Verona e dell'Istituto italiano di neuroscienze di Verona, pubblicato sul Journal of Experimental Psychology ha preso in esame i fattori di distrazione quando si svolge un'attività che richieda concentrazione. Il risultato, dopo un test effettuato su un campione di studenti universitari, è che il livello medio di attenzione è di circa venti minuti, ma il dato interessante è che più si cerca di rimanere concentrati, meno si riesce.

I DISTRATTORI - A queste conclusioni si è giunti proprio facendo svolgere un'attività impegnativa ai ragazzi, avvisandoli che avrebbero potuto essere stimolati con fattori esterni tattili, uditivi o visivi. In questo modo, si è scoperto che nel cervello si attiva un meccanismo di filtraggio dei distrattori che seleziona ciò che è importante da ciò che non lo è. Questa doppia attività, tuttavia, porta alla riduzione del 10% delle performance legate alla capacità di concentrazione. Ciò significa che focalizzarsi sull'attività che si sta svolgendo allontanando il pensiero di ciò che può distrarci può diventare addirittura controproducente. Ad analoghe conclusione è giunto George Lakoff, professore di scienze cognitive e linguistiche dell'università di Berkeley in California, attraverso un semplice esperimento fatto ai suoi studenti che ha dimostrato quanto sia facilmente condizionabile la mente umana. Ha chiesto ripetutamente ai giovani: “non pensate a un elefante, non pensate a un elefante”. Risultato? Tutti hanno pensato a un elefante. Quindi non sono solo i fattori esterni a entrare in gioco, ma anche l'aspettativa che tali fattori si verifichino.

L’ATTENZIONE - «Il sistema attenzionale è a capacità limitata e si basa su due aspetti fondamentali - spiega Stefano Cappa, professore di neuroscienze cognitive dell'università Vita Salute del San Raffaele di Milano - la capacità di dividere l'attenzione, ossia la possibilità di concentrarsi su più cose contemporaneamente, e il tempo in cui si riesce a mantenere la concentrazione, ma non esiste una ricetta per svilupparla». La capacità di attenzione, infatti, si forma solitamente durante l'età giovanile con lo studio, ma è comunque una caratteristica soggettiva. È possibile allenarla in caso di patologie neurologiche, come un trauma cranico, quando c'è da recuperare una funzione normale, ma in un soggetto sano non ci sono medicine o tecniche particolari per aumentare la concentrazione. L'unica sostanza che si è dimostrata essere utile per mantenere un alto livello di attenzione è la caffeina, presente ne l caffè e nel tè.

MOTIVAZIONE ALLA CONCENTRAZIONE - Ci sono tuttavia fattori oggettivi e soggettivi che possono influire positivamente o meno sulle nostre capacità. L'ambiente circostante, può sembrare scontato ma è fondamentale, deve essere il più possibile privo di distrazioni. Ma ancor più importante, vera discriminante nella capacità di concentrazione è la motivazione, qualunque essa sia: un premio, del denaro, evitare una punizione, un piacere personale. Rappresenta l'elemento soggettivo che spinge a rendere al massimo e a impegnarsi il più possibile, andando anche oltre la capacità media delle persone. In sintesi, con tanta motivazione e un buon caffè, si arriva ovunque.

 


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