Un paziente su 4 con il morbo di Basedow presenta manifestazioni oculari della malattia. L'ispessimento dei muscoli e l'accumulo di grasso possono essere curati con i farmaci o con la chirurgia, ma la soluzione non è sempre definitiva
Hanno la tiroide che funziona troppo e talvolta lo si evince dagli occhi: rigonfi al punto da non riuscire a chiudere le palpebre, nemmeno di notte. A ritrovarsi in questa descrizione, sono le persone colpite da una delle complicanze del morbo di Basedow-Graves: la forma più comune di ipertiroidismo nelle aree in cui la malattia non è dovuta a una carenza di iodio, che può provocare manifestazioni a distanza dalla sede della ghiandola. I loro occhi possono apparire più fissi e ingranditi, alterando in maniera significativa l'espressione del volto. Nel tempo si può anche arrivare alla progressiva perdita della visione laterale. L'orbitopatia basedowiana - questo il nome dato alle manifestazioni oculari del morbo di Basedow - può manifestarsi inoltre con un aumento della lacrimazione.
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MORBO DI BASEDOW: SE LA MALATTIA ARRIVA AGLI OCCHI
«Stiamo parlando di un problema che interessa un paziente su quattro tra coloro che sono affetti dal morbo di Basedow-Graves», afferma Andrea Giustina, ordinario di endocrinologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presidente della Società Europea di Endocrinologia. La mancata (o incompleta) chiusura degli occhi determina «secchezza oculare e può favorire anche l'insorgenza di infezioni della cornea», prosegue lo specialista, prima di ricordare che la complicanza riguarda sopratutto il gentil sesso: 1,5 gli uomini colpiti ogni dieci donne. «Senza trascurare che la pressione cronica sul nervo ottico può determinare difetti del campo visivo che in alcuni casi possono evolvere in cecità». La manifestazione oculare della malattia è causata da un'attività senza sosta della tiroide, stimolata oltremodo dagli anticorpi a produrre ormoni (T3 e T4). Una delle conseguenze è data da un'alterazione infiammatoria dei tessuti orbitari: muscoli e grasso. «Questi, aumentando di volume, spingono all’esterno il bulbo oculare - dichiara Paolo Vitti, direttore del cento di endocrinologia ed endocrino-chirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria di Pisa, presidente della Società Italiana di Endocrinologia -. La maggioranza dei pazienti con morbo di Basedow presenta segni e sintomi oculari, ma questi sono gravi soltanto in una minoranza di pazienti».
I TRATTAMENTI FARMACOLOGICI
L'utilizzo dei colliri è sufficiente soltanto nelle forme più lievi di esoftalmo endocrino. Nelle forme più gravi, invece, le linee guida suggeriscono la somministrazione di farmaci glucocorticoidi e immunosoppressori. Interessanti sono considerate le prospettive offerte da una nuova classe di farmaci biologici che hanno come target il recettore dell'interleuchina-6, la cui efficacia è stata provata da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine: a sei settimane dal trattamento, quasi la metà dei volontari a cui era stato somministrato il principio attivo aveva raggiunto l'obiettivo prefissato, contro il quattro per cento di coloro che erano stati trattati col placebo. «Questi risultati dovranno essere confermati da studi che mettano a confronto il nuovo farmaco biologico con l'attuale terapia di prima linea dell’orbitopatia basedowiana, ma le premesse sono piuttosto incoraggianti», sostiene Luigi Bartalena, direttore dell'unità operativa complessa di endocrinologia dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese.
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LE OPZIONI CHIRURGICHE
Curare la manifestazione oculare, nonostante le manifestazioni più gravi siano limitate, non è semplice. Farmaci (prevalentemente cortisonici), terapia radiometabolica (con iodio radioattivo) e chirurgia: la scelta dell'approccio dipende sopratutto dalla gravità dell'ipertiroidismo, oltre che dalla volontà di provare a risolvere il problema in maniera definitiva. Il ricorso al bisturi può rendersi necessario per rimuovere la tiroide, se l'aumento di dimensione danneggia o rischia di danneggiare strutture limitrofe. Intervenendo in maniera radicale sulla ghiandola, anche l'esoftalmo di origine endocrina può rientrare. Se ciò non accade, si può intervenire anche a livello oculare. Nel gergo tecnico, si parla di decompressione per descrivere la procedura con cui si allargano le pareti orbitarie e si rimuovono gli accumuli di grasso che dall'interno dell'orbita «spinge» l'occhio verso l'esterno. L'intervento, in anestesia generale, è effettuato da un chirurgo maxillo-facciale. Una delle possibili conseguenze della chirurgia oculare è data dalla diplopia, che porta alla visione sdoppiata di oggetti e persone. Il problema può risolversi spontaneamente nell'arco di un paio di mesi: diversamente si considera l'ipotesi di un nuovo intervento a carico dei muscoli oculari (simile a quello che si effettua per correggere lo strabismo) o l'utilizzo di lenti con prismi.
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Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).