Sperimentata sui topi, è la grande speranza delle nanotecnologie. E con nanopalline, spiega il professor Cingolani, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, si sta già producendo energia a bassissimo costo
Roberto Cingolani, nato a Milano nel 1961, dal 2005 è Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (ITT) di Genova, di cui è uno dei fondatori ed è anche direttore del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia dell’Università di Lecce. L’ITT è passato in pochi anni da 300 a 800 ricercatori provenienti da ogni parte del mondo, e nel suo comitato scientifico sono presenti tre Premi Nobel: Paul Greengard (Medicina, 2000), H.R. Horvitz (Medicina, 2002) Martin Chalfie (Chimica, 2008). Le sue aree di ricerca sono la fisica dei semiconduttori, l’elettronica molecolare, le bionanotecnologie, la nanoelettronica.
Professor Cingolani, lei si occupa particolarmente delle Scienze della Materia. Tra le scoperte che avete già fatto all’Istituto Italiano di Tecnologia (ITT) c’è la “carta intelligente”. Poi si parla di progetti come la rétina artificiale, e di celle fotovoltaiche per sfruttare a basso costo l’energia solare. Ce le spiega?
La «carta intelligente» è l’esempio più semplice di applicazione delle nanotecnologie. Noi prendiamo della carta, o del cotone, e li «droghiamo». Li immergiamo in un bagno composto di monomeri polimerizzati (plastica, in pratica) in cui ci sono nanopalline infinitamente piccole, composte da 100-150 atomi, che vengono intrappolate nelle fibre. Possono essere nanopalline d’argento, e allora la carta o il tessuto diventano antibatterici, con possibili applicazioni in medicina; possono essere nanopalline di ferro, e allora carta o cotone diventano capaci di essere magnetizzati. Pensiamo a una banconota con nanopalline di ferro incluse nella carta: basta avvicinare una calamita, e se è falsa, si scopre subito!
E’ vero che con le nanotecnologie si potranno creare nuovi materiali?
Certamente. Le nanotecnologie ci permettono di costruire con gli atomi. Un esempio ne sono le plastiche che in presenza di luce producono delle cariche fotovoltaiche. E’ plastica trasparente e flessibile, di spessore infinitesimale. Si può già arrivare a una resa energetica del 10-15 per cento. Può essere applicata dappertutto, anche su superfici curve. Si possono ricoprire le facciate degli edifici, l’interno delle finestre , e si ha energia a basso costo, 20-30 centesimi a watt. Le applicazioni possono essere tante, a partire da una pellicola che fa da cover al telefonino, e lo ricarica.
E la rétina artificiale?
E’ un obiettivo che avrà tempi lunghi, ma lo stiamo già provando sul ratto. L’idea nasce dalla cella solare di plastica, capace di vedere la luce e biocompatibile. Il trucco è che su questo elemento fotosensibile abbiamo fatto nascere dei neuroni vivi, che proliferano e vivono. Se la luce colpisce un punto, il detector produce una carica e il neurone si attiva.
E’ vero che si potranno fare tessuti idrorepellenti, copiando le ali delle farfalle?
Il microscopio usato per lavorare con le nanotecnologie ci mostra com’è fatta la materia, in questo caso la materia vivente. Le ali delle farfalle sono idrorepellenti perché presentano delle nanostrutture di fossette. E se esaminiamo le zampette del geco, scopriamo che può incollarsi ai muri grazie a nanoprotuberanze che le rendono rugose e non lisce. Queste nanostrutture sono periodiche, nel senso matematico, e sono nel codice genetico di queste creature. Noi possiamo copiare il loro codice genetico, aprendo il Dna come una cerniera.
Voi, come Istituto, siete un «santuario» della ricerca sull’intelligenza artificiale. C’è una sfida che volete vincere?
Sì, un computer capace delle stesse performances del cervello. Il cervello di un essere umano fa un miliardo di operazioni al secondo, i neuroni si scambiano ioni e ricalcolano con migliaia di altri neuroni. Tutto questo con un’alimentazione di 450 calorie. Invece i computer hanno bisogno di un’energia mostruosa. Il nostro sogno è un computer che funzioni a pasta e cioccolata.