La ricerca italiana pubblicata su Plos One: piastrine, globuli rossi, emoglobina ed ematocrito risultano più alti negli atleti meglio piazzati
Di come migliorare le performance di un atleta si erano preoccupati in molti. Mai nessuno, però, aveva deciso di osservare come cambiasse il sangue di un ciclista durante una gara agonistica. Di recente, invece, una ricerca tutta italiana ha voluto indagare le variazioni della parte corpuscolata del sangue in risposta alla fatica. Coordinato dal Centro di medicina dell’esercizio fisico e dello sport del San Raffaele in collaborazione con l’istituto ortopedico Galeazzi di Milano e l’università di Siena, lo studio ha consolidato le conoscenze riguardanti le modificazioni ematologiche che si verificano durante un intenso sforzo fisico. Nella ricerca, pubblicata su Plos One, è stata osservata una popolazione di 253 ciclisti under 27 che hanno gareggiato nel 2010 e nel 2012 durante la corsa internazionale a tappe di 10 giorni del “GiroBio”.
Giovanni Lombardi, ricercatore nel laboratorio di biochimica sperimentale e biologia molecolare dell’istituto ortopedico Galeazzi di Milano: quali sono stati i risultati?
«Adesso sappiamo che durante la prima metà della gara si verifica un calo nelle conte di globuli rossi, piastrine e reticolociti e nei livelli di emoglobina ed ematocrito (un valore che indica la percentuale del volume di sangue occupata dai globuli rossi, ndr). Nella seconda fase, invece, il recupero fisiologico porta a un ritorno ai valori di partenza, nonostante lo sforzo rimanga intatto. Al contrario i livelli dei globuli bianchi, stabili nella prima parte della gara, aumentano verso la fine. Poiché i riscontri ottenuti nel corso delle due gare sono assolutamente sovrapponibili, esiste una risposta fissa riassumibile in una riduzione nella prima fase e un successivo recupero nella seconda».
C’è una relazione tra la composizione del sangue e il piazzamento finale dell’atleta?
«I risultati dimostrano che i soggetti meglio classificati presentano conte di globuli rossi e piastrine e livelli di emoglobina ed ematocrito maggiori rispetto agli atleti con piazzamento peggiore».
Risultati alla mano, si può rivalutare l'analisi dell'ematocrito effettuata su Pantani che lo portò all'estromissione nel corso del Giro d’Italia del 1998?
«Fu un caso particolare, anche perché i fatti si riferiscono a un’epoca precedente all’introduzione del passaporto biologico. L’Uci gli contestò un ematocrito del 52%, contro il limite consentito del 50 ± 1%. La discussione sul reale significato di questo valore è di carattere tecnico-legale. Oggi però sappiamo che, durante le gare ciclistiche a tappe, l’ematocrito cala nella prima fase e ritorna all’incirca ai valori basali alla fine della gara».
Quali garanzie assicura il passaporto biologico in termini di efficacia nella lotta al doping?
«Il passaporto biologico è il pezzo più efficace per quanto riguarda il doping ematico. Il sistema tiene conto di una serie di fattori che possono modificare i range quali: sesso, etnia, altitudine. Un valore che cade fuori da questo range è, teoricamente, per il 99,9% delle probabilità, dovuto ad una pratica illecita o ad una patologia specifica insorta nell’intorno della valutazione. Per migliorarne l’efficacia occorre una regola che implementi il sistema statistico per garantire una maggiore sicurezza per l’atleta e per le agenzie antidoping».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).