Questo parametro, riferito agli alimenti che consumiamo, non sarebbe in realtà così importante per la prevenzione dei disturbi metabolici e cardiovascolari
Da anni è un parametro al centro del dibattito all’interno della comunità scientifica. Quanto è importante puntare il dito contro l’indice glicemico? Uno studio appena pubblicato sul Journal of the American Medical Association ne ridimensiona l’importanza.
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DI COSA SI TRATTA?
L’indice glicemico indica la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all'assunzione di un quantitativo di un qualsiasi alimento contenente cinquanta grammi di carboidrati. È espresso in percentuale e si rapporta alla velocità di aumento della glicemia con la stessa quantità di glucosio o di pane bianco. All'alimento di riferimento è assegnato il valore di 100: per convertire l'indice glicemico dal glucosio al pane bianco basta moltiplicare per 1,37.
LA RICERCA
Fasciarsi il capo per calcolarne il valore, per ogni alimento che consumiamo, non sembra però essere così utile. A ribadirlo un gruppo di ricercatori statunitensi che, dopo aver sottoposto 163 adulti in sovrappeso a quattro regimi alimentari differenti - ricca in carboidrati, a basso o alto indice glicemico, e povera in glucidi, a basso o alto indice glicemico - per cinque settimane (assegnazione casuale), hanno concluso che «nel contesto a basso contenuto di zuccheri, non ci sono sostanziali differenze dettate dall’indice glicemico dei singoli alimenti». Dal confronto tra regimi alimentari ad alto e basso indice glicemico, non è emersa alcuna differenza nei valori del colesterolo “cattivo” (Ldl), della pressione sanguigna massima e della resistenza all’insulina.
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CONSIGLI PER LA TAVOLA
Viene dunque smentita qualsiasi teoria secondo cui i cibi ad alto indice glicemico aumenterebbero il rischio di sviluppare il diabete e di andare incontro a complicanze cardiovascolari. Il motivo è presto chiaro. Ci sono alcuni alimenti che hanno un elevato indice glicemico - come la pasta, il pane bianco, le banane, le carote e il melone - che per diverse ragioni risultano però spesso inseriti in tutti gli schemi alimentari, dimagranti e non. «La dieta migliore è anche semplice da seguire - afferma Laurence Appel, docente di epidemiologia alla Johns Hopkins University, tra gli autori della ricerca -. Mangiare frutta, verdura e cereali integrali, evitare le bevande zuccherate, i dolci, il sale e gli alimenti ad alto contenuto di grassi saturi: basta seguire queste semplici indicazioni per difendere la nostra salute a tavola».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).