Prometteva di rendere il frumento adatto alla celiachia, con le microonde. Ma la tecnica del gluten friendly non trova conferme
Il nome datogli a livello commerciale era invitante: «gluten friendly», ovvero glutine amichevole, una promessa contro la celiachia. Ma quanto alla possibilità di farlo arrivare sulle tavole degli oltre centottantamila celiaci italiani, si registra una brusca frenata.
Il frumento «gluten friendly», era stato messo a punto per la prima volta nel 2014, con l’auspicio di produrre alimenti con glutine adatto ai celiaci.
Ora uno studio ne mette in dubbio l’efficacia, rispetto ai primi, incoraggianti, risultati. Ai pazienti tocca attendere ancora, ma l’impressione è che anche da questo filone di ricerca non verrà fuori una soluzione terapeutica. Al momento, dunque, resta confermata l’unica soluzione. Ovvero: il rispetto di una dieta senza glutine.
ALIMENTAZIONE E CELIACHIA: iscriviti al sito e scarica il quaderno della Fondazione Umberto Veronesi
«GLUTEN FRIENDLY»: DI COSA SI TRATTA?
La notizia giunge da una ricerca pubblicata sulla rivista Food and Chemical Toxicology. Un passo indietro è a questo punto necessario, per spiegare qual è la tecnologia alla base del «gluten friendly». Tre anni fa un gruppo di ricercatori dell’Università di Foggia aveva messo a punto un tipo di frumento che, dopo essere stato idratato e trattato per pochi secondi con le microonde, mostrava una modifica delle proteine del glutine nel seme.
In questo modo, il prodotto risultava tollerato dai celiaci. A dare lo spunto erano stati alcuni studi che avevano evidenziato come, applicando alte temperature alle cariossidi di frumento, le proteine subissero modificazioni diverse da quelle osservate durante l’essicazione (della pasta a 70-90 gradi) e la panificazione (ad almeno 200 gradi). In laboratorio s’era visto che le proteine del glutine provenienti dal frumento modificato presentavano una ridotta capacità di indurre una risposta immunitaria.
Evidenze che avevano portato Carmen Lamacchia, docente di scienze e tecnologie alimentari all’Università di Foggia, ad affermare che «nel giro di poco tempo, i celiaci potranno consumare prodotti assimilabili, per gusto e aspetto, a quelli comunemente utilizzati nell’alimentazione umana. E chissà che in futuro il discorso non venga allargato anche all’intera popolazione, per ridurre la sensibilizzazione al glutine e l’incidenza della celiachia». Ma le prove, in realtà, non erano finite.
DIETA SENZA GLUTINE: PERCHE' NEI NON CELIACI PUO' ESERE DANNOSA?
I DUBBI SUL TRATTAMENTO DEL GLUTINE CON LE MICROONDE
Da qui l’idea di chiarire nel dettaglio gli effetti del trattamento con microonde della cariosside del frumento, da cui è in realtà emerso che, nonostante il trattamento ad alta energia, il glutine rimarrebbe nella cariosside in tutta la sua interezza e pronto per attivare le cellule del sistema immunitario dopo la digestione gastrointestinale. «Le proteine sono risultate detossificate dal glutine soltanto in apparenza - hanno dichiarato Carmen Gianfrani e Gianfranco Maione, ricercatori del Cnr, alla rivista ufficiale dell’Associazione Italiana Celiachia -.
La metodica immunoenzimatica adottata (Elisa, ndr), infatti, non le ha riconosciute. Ma in realtà il glutine non risultava rimosso dalla granella, come si è scoperto osservando alcuni suoi frammenti in grado di scatenare la reazione immunitaria a livello dei villi intestinali». Da qui l’invito alla cautela. «Per stabilire l’efficacia di una tecnologia innovativa, occorre dimostrare la totale distruzione o modifica chimica permanente del glutine.
Lo studio dimostra la necessità di un approccio analitico corroborato da prove in vitro solide e riproducibili. Nessuna strategia di detossificazione del glutine può essere considerata tale in assenza di studi clinici su volontari celiaci, che devono essere eseguiti in centri di alta specializzazione e devono prevedere la valutazione dell’integrità e della funzionalità della mucosa intestinale». Rimane dunque un dato di fatto: l’unica terapia validata per la celiachia rimane la dieta senza glutine.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).