Amanda Sandrelli racconta: "Nato prematuro e con parto cesareo, tutti mi dicevano: lascia perdere. Invece ò stato l'inizio di una meravigliosa avventura"
Ho amato molto il periodo in cui ho allattato i miei due figli, ormai due ragazzi, e mi capita di ricordarlo con nostalgia. Ma all’inizio non è stato tutto semplice.
Sapevo che avrei dato alla luce il mio primo bambino con un cesareo, a causa di problemi ginecologici che fra l’altro ci avevano fatto attendere a lungo questa gravidanza. «Ma lo allatterò io» mi dicevo, volevo farlo, era un mio desiderio profondo.
Rocco, però, è arrivato prima del tempo, dopo soli 8 mesi di gestazione. Era uno scricciolo di meno di tre chili, stava bene e non fu necessaria l’incubatrice. Quando me lo portarono, che emozione! Me lo accostai al petto, ma lui non si attaccava al seno, era piccolo e pigro, non succhiava. Provai e riprovai, ripensando a tutti quei meravigliosi manuali sull’allattamento che mi ero letta prima della sua nascita, in cui tutto accade come per magia, il neonato va anche da solo a cercarsi il capezzolo, ed è fatta. Rocco invece al mio seno neppure si avvicinava. In clinica le ostetriche le provavano tutte, ma mi dicevano che col cesareo e la prematurità, forse il biberon… Ho insistito e detto no.
Siamo tornati a casa, tentavo di continuo, ma lui ancora non si attaccava. Non è stato facile, quei primi giorni sono stati un incubo. Il bambino perdeva peso, come è fisiologico che accada, ma non mangiava ed era già così piccolo… Diversi pediatri mi consigliavano di dargli del latte surrogato, almeno per un po’. Finché ho trovato il «mio» pediatra, che mi disse: «No, non gli dia il biberon, lo vengo a visitare tutti i giorni, è essenziale controllare che non si disidrati, ma nessun neonato in questa situazione è mai morto di fame». Nei primi 5 giorni il bimbo calò da 2.960 a 2.600 grammi, se fosse andato sotto i 2.500 me l’avrebbero riportato in incubatrice.
Rocco è stato un creatura molto desiderata, come ogni mamma non avrei mai messo a rischio la sua salute e, al tempo stesso, mi trovavo al centro di un’esperienza complessa e scombussolante per una donna: non riuscivo ad allattare il mio bambino, mi sentivo come se non riuscissi a fare quello che “avrei dovuto” per natura.
Poi il sesto giorno, non so perché e non lo saprò mai, Rocco si attaccò famelico al mio seno. In due giorni recuperò tutto il peso della settimana e da quel momento iniziò un periodo speciale, che durò 10 mesi di poppate placide, senza intoppi e piene di soddisfazione per entrambi.
Già, scelsi di godermelo l’allattamento. All’epoca la parola d’ordine era «svezzamento a 4 mesi», io aspettai i sei, come d’altra parte consigliano anche ora i pediatri, e lo stesso accadde con Francisco, sei anni dopo, anche lui nato con cesareo. Sono stata fortunata, certo, ma c’è voluta tenacia. Il consiglio più utile mi arrivò da una mamma con quattro figlie all’attivo: «Stai tranquilla, se tieni duro il latte c’è».
Rocco l’ho portato dovunque, anche in tournée, un’esperienza meravigliosa se vissuta con serenità e in sintonia col bambino. Io gli davo il seno quando voleva, senza orari prestabiliti, lui era il ritratto della salute, mai un rigurgito, mai un’indigestione. A sei mesi ho iniziato a dargli altri alimenti, a 10 mesi abbiamo fatto l’ultima poppata.
Questa è la mia storia. Nessun bimbo è uguale all’altro e nessuna esperienza di maternità è uguale all’altra, però credo che ci siano degli stati simili per tutte noi, come il momento in cui si partorisce e ci si ritrova con questo scricciolo fra le braccia. Ti senti da un lato come se fossi la Madonna in persona, dall’altro responsabile di un essere piccolissimo e indifeso, tuo figlio. Potente e fragile al tempo stesso.
Per questo da 13 anni accetto volentieri di fare da testimonial per le iniziative dell’UNICEF su un tema che mi sta a cuore. E’ importante che per le mamme che vogliono allattare il propri bambini ci sia una rete che le rassicuri, dia loro la possibilità di parlare con altre donne e con esperti. Senza fanatismi, è fondamentale la libertà di scelta.
Mia madre, Stefania Sandrelli, mi diede alla luce a 18 anni, in una clinica svizzera. In quel periodo si diceva che era meglio il latte artificiale. Ci sono poi tornata, per vedere dove ero nata, e una ostetrica mi confidò: «In quegli anni c’era una cultura diversa e per certi versi estremista, abbiamo fatto degli errori». Ci sono anche donne che non desiderano allattare, che magari hanno problemi particolari o semplicemente un rapporto con il corpo diverso dal mio. Va da sé che ogni esperienza è da rispettare profondamente, ma ciò che invece mi fa rabbia è sentire così spesso mamme desolate che dicono: «Avrei voluto, ma non avevo latte». Non è vero, è che nella maggior parte dei casi non hanno avuto il sostegno e le informazioni necessari. Ecco, mi piacerebbe che ogni donna che vuole allattare il suo bambino sia libera di scegliere.
Ormai si conoscono i benefici dell’allattamento al seno per la salute, ma vorrei ricordare che il latte di mamma è anche… conveniente! Il mio pediatra fece il conto, con Rocco, nato nel 1998, ogni mese ho risparmiato circa 450.000 delle vecchie lire.
Un tasto dolente, invece, è ancora la mancanza di spazi idonei per le mamme fuori casa. Le nostre città sono inospitali e con piacere sono intervenuta a inaugurare il primo dei cinquanta Baby pit-stop cittadini dell’ASL di Milano e UNICEF Italia. Si tratta di aree di sosta all’interno di farmacie, ospedali, spazi comunali, aeroporti, negozi e centri commerciali dove le mamme possono allattare e cambiare il pannolino mentre sono in giro per la città.
Quanto siano importanti, lo so bene. Ricordo una volta, in un museo di Firenze, mio figlio si mise a urlare per la fame, cercai un posto e mi sedetti su una panca contro il muro. Arrivò subito una giovane addetta e mi disse: «Mi dispiace ma qui non si può». «Ah. E dove vado?». «Dovrebbe andare in bagno». «Ma c’è una panca, una sedia, qualcosa?». Pausa. «Veramente no». Eh, no! Allora mio figlio che ha fame me lo allatto qui! Per giunta, eravamo circondati da splendide maternità del Botticelli e Filippo Lippi. Restai dov’ero, e una signora che aveva assistito alla scena, senza riconoscermi, si avvicinò alla ragazza (che, poveretta, in fondo faceva solo quel che le avevano detto di fare) e le disse: «Ma non vede quanto è bella, sembra un quadro, la lasci in pace».
Amanda Sandrelli