Con l’editing genomico, i ricercatori dell'Università di Trento hanno eliminato due mutazioni che causano la fibrosi cistica. Lo studio condotto su organoidi sviluppati a partire dalle cellule dei pazienti
L'editing genomico come possibile soluzione per la fibrosi cistica. Dare un «taglio» alla più frequente tra le malattie genetiche rare è possibile, almeno per alcune delle mutazioni che la causano. Merito della cosiddetta metodologia Crispr, in grado di modificare la struttura molecolare del Dna. Intervenire sul codice genetico potrebbe essere dunque una soluzione per la malattia, causata dalle mutazioni del gene CFTR. Da qui la sintesi di una proteina difettosa, non più in grado di svolgere la sua funzione di controllo del passaggio di acqua e di alcuni sali tra l'interno e l'esterno delle cellule. Le conseguenze sono rilevabili a livello di più organi, ma in particolare dei polmoni. Per la malattia, al momento, non esiste una cura definitiva.
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UNA MALATTIA «INVISIBILE»
La fibrosi cistica viene chiamata malattia «invisibile», perché non è accompagnata da particolari segni esteriori. Eppure condiziona in modo pesante la vita delle persone che ne sono colpite. Le persone malate in Italia sono circa semila, con 200 nuovi casi l’anno. «La progressione verso l’insufficienza respiratoria grave apre la strada verso l’unica opzione terapeutica possibile in questi casi: il trapianto di polmone - afferma Rosaria Casciaro, pediatra del centro di riferimento per la fibrosi cistica dell’ospedale Gaslini di Genova -. Ma le nuove frontiere terapeutiche offrono nuove speranze ai malati per ritardare il più possibile questo esito. Merito di un approccio personalizzato che, unito a una presa in carico multidisciplinare, garantisce la possibilità di costruire un progetto di vita qualitativamente buono».
MEDICINA DI PRECISIONE:
DI COSA SI TRATTA?
EDITING GENOMICO PER LA FIBROSI CISTICA
I primi riscontri riguardanti i benefici che potrebbero essere determinati dall'editing genomico giungono da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Centro di biologia integrata (Cibio) dell’Università di Trento, pubblicato sulla rivista Nature Communications. I ricercatori sono partiti da quella che è la base della conoscenza della fibrosi cistica: ovvero la presenza di una o più mutazioni del gene responsabile della sintesi della proteina Cftr. In collaborazione con i colleghi dell'ateneo belga di Leuven, gli scienziati trentini hanno utilizzato il sistema Crispr/Cas nei confronti di due tipi di mutazione che causano la malattia. Con le forbici molecolari, è stato possibile colpire soltanto le sequenze mutate e lasciare intatto il Dna non alterato. La tecnica impiegata è chiamata «SpliceFix», perché ottiene la riparazione del gene («fix») e ripristina il corretto meccanismo di produzione della proteina («splicing»).
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COME FUNZIONA CRISPR/CAS?
Il sistema CRISPR/Cas9 sfrutta i meccanismi naturali con i quali i batteri si
difendono dalle infezioni virali. L’enzima che è il fulcro del processo di editing genomico è chiamato Cas9 ed è una proteina (endonucleasi) in grado di introdurre tagli all’interno della doppia elica del Dna. Mentre l’attività dell’enzima è sufficiente per introdurre in una posizione specifica mutazioni casuali, quando l’obiettivo è l’inserimento di una mutazione mirata devono essere fornite alle cellule sequenze esogene di Dna donatrici adeguate ai cambiamenti che si vogliono effettuare. A questo punto, sfruttando un sistema di riparazione chiamato ricombinazione omologa, la cellula provvederà ad autoriparare la rottura utilizzando il Dna esogeno, completando così l’editing. In questo modo, è possibile ottenere la correzione di mutazioni patologiche nel Dna.
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ESPERIMENTO SU ORGANOIDI
In questo modo, per dirla con Giulia Maule, dottoranda in scienze biomolecolari all’Università di Trento e prima firmataria dell’articolo, «abbiamo dimostrato che la nostra strategia di riparazione è efficace e ha un alto grado di precisione». Invece che ricorrendo ai modelli animali, l'esperimento è stato condotto su organoidi sviluppati a partire da cellule dei pazienti. Un approccio eticamente condiviso e scientificamente affidabile, dal momento che «la nostra scelta ci ha permesso di verificare l’efficacia della strategia molecolare in un contesto vicino a quello dei pazienti affetti da fibrosi cistica».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).