A tre anni di distanza dal trattamento con terapia genica il 90% dei pazienti non necessità più di trasfusioni di sangue. La guarigione è possibile
Grazie alla terapia genica si può guarire dalla beta-talassemia. E' questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge da uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine ad opera degli scienziati dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma coordinati dal professor Franco Locatelli. Betibeglogene autotemcel, questo il nome della terapia, ha dimostrato essere utile nel correggere il difetto alla base della malattia genetica. Una correzione che ha portato le persone affette da beta-talassemia a non dover ricorrere più a trasfusioni di sangue. Un risultato storico che si mantiene nel tempo. A quasi tre danni dalla terapia il 90% dei beta-talassemici coinvolti nella sperimentazione non ha necessitato di alcun intervento.
LA BETA-TALASSEMIA
La beta-talassemia è un gruppo di malattie rare del sangue in cui, a causa di un difetto genico, la produzione di emoglobina è fortemente ridotta o del tutto assente. A seconda della mutazione (ne sono note circa 300) nel gene della beta-globina, una proteina che concorre alla formazione dell'emoglobina, la malattia può essere più o meno severa. Più in generale si possono distinguere due forme di malattia: quella non β-0 β-0 in cui l'emoglobina è prodotta in maniera marcatamente ridotta e quella β-0 β 0 in cui è totalmente assente.
COME SI CURA?
Ad oggi la cura della forme di beta-talassemia grave consiste in continue e periodiche trasfusioni di sangue che espongono il malato a notevoli effetti collaterali, primo fra tutti un eccessivo accumulo di ferro che può arrivare a danneggiare i diversi organi. Per questa ragione, oltre alle trasfusioni che hanno l'obbiettivo principale di mantenere adeguati livelli di emoglobina, occorre una terapia ferro-chelante e trattamenti di supporto per gestire le altre complicanze della malattia. Un peso che va oltre le immediate implicazioni di salute con ripercussioni sulla vita di tutti i giorni legate ai disturbi associati alla malattia, ai ricoveri e alle necessità di sottoporsi a continue cure per la gestione della talassemia trasfusione dipendente. Accanto a questo approccio una delle possibili soluzione è rappresentata dal trapianto di midollo da donatore compatibile. Una cura non sempre percorribile (meno del 40% dei pazienti possiede un donatore compatibile) e dai rischi non indifferenti soprattutto dopo l'adolescenza.
LA TERAPIA GENICA
La terza soluzione, oggi già realtà per chi ha partecipato agli studi sperimentali, si chiama terapia genica. L'idea di fondo è semplice: dal momento che le malattie genetiche sono causate da un difetto in un determinato gene, inserendo dall'esterno una copia funzionante è possibile ristabilire la corretta funzione di quel gene. Nel caso della beta-talassemia il primo passo della sperimentazione della terapia genica prevede il prelievo delle cellule staminali del sangue periferico dei malati. Successivamente, per ristabilire il corretto funzionamento di queste cellule e dei globuli rossi in cui possono differenziarsi, si inserisce al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina (β-globina AT87Q). Infine le cellule staminali corrette vengono nuovamente infuse nei pazienti per via endovenosa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo osseo.
GUARIGIONE POSSIBILE
La sperimentazione con questo tipo di terapia è partita nel 2016 ed ha coinvolto 23 pazienti con beta-talassemia dipendenti dalla trasfusione: 8 bambini con meno di 12 anni e 15 persone dai 12 ai 50 anni. L'ospedale italiano ha contribuito in maniera consistente, trattando un terzo dei pazienti arruolati. Dalle analisi sul lungo termine è emerso che il 90% dei pazienti trattati si è raggiunta l'indipendenza trasfusionale. Non solo, la terapia è stata inoltre in grado di determinare il raggiungimento di valori di emoglobina molto consistenti in una percentuale elevata dei pazienti che hanno ottenuto l'indipendenza trasfusionale. «Quando si hanno dei dati di follow up così importanti si può parlare di guarigione» spiega Franco Locatelli. Attualmente la terapia è approvata dall'Ema per le persone dai 12 in su con una specifica caratteristica genetica (genotipo non-beta0/beta0) che hanno bisogno di trasfusioni e non abbiano condizioni incompatibili con il trapianto. «Lo studio ha però mostrato ottimi risultati anche nei bambini con meno di 12 anni: è quindi prevedibile che le agenzie regolatorie estendano le indicazioni anche ai bambini più piccoli» conclude Locatelli.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.