I batteri resistenti si diffondono anche nei reparti di terapia intensiva neonatale. L’allarme degli specialisti sui pericoli della resistenza agli antibiotici
Il problema della resistenza agli antibiotici è una priorità, sopratutto per chi ha a che fare con i neonati. «Ogni anno nel mondo un milione tra loro muore a causa di infezioni che si complicano», spiega Mauro Stronati, direttore della struttura di neonatologia e patologia neonatale del policlinico San Matteo di Pavia e presidente della Società Italiana di Neonatologia. Avere di fronte dei pazienti che non hanno completato lo sviluppo del sistema immunitario rende più complesso l’intervento, in caso di infezione.
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UN’EMERGENZA DI SALUTE PUBBLICA
Il messaggio, diffuso nel corso del convegno internazionale sulle infezioni neonatali appena concluso a Pavia, riaccende la luce sull’ampia gamma di batteri che nel tempo hanno imparato a eludere l’azione dei farmaci. Ogni anno, soltanto in Europa, venticinquemila persone perdono la vita a causa delle complicanze di infezioni che fino a pochi anni fa non destavano particolari preoccupazioni. Le caratteristiche dei patogeni erano note, i rimedi con cui affrontarli erano disponibili e in un paio di settimane di trattamento l’infezione rappresentava soltanto un ricordo. Ma da quando gli antibiotici hanno perso in larga parte la loro efficacia, il problema è divenuto «un’emergenza per la salute pubblica», come l’Organizzazione Mondiale della Sanità definì il problema della resistenza nel 2014.
Non stupisce allora che nel 2050, come emerge dal rapporto inglese «Review on antimicrobical resistence», i batteri possano ritrovarsi in grado di fare più morti del cancro: dieci milioni ogni anno (contro otto). L’emergenza globale - particolarmente sentita all’interno degli ospedali, dove un paziente su dieci va incontro a infezioni contratte durante il ricovero - è stata dettata da una catena di errori. I batteri si sono sempre adattati all’ambiente, altrimenti non sarebbero sopravvissuti fino a oggi. Ma a rendere concreto il pericolo è stato l’uso «compulsivo» che si è fatto di questi farmaci: sopratutto nei confronti di neonati e anziani. L’Italia è il quinto Paese europeo per consumo di antibiotici nell’uomo: alle spalle di Grecia, Francia, Lussemburgo e Belgio.
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I BATTERI RESISTENTI «COLPISCONO» ANCHE I NEONATI
Sebbene finora l’aspetto sia rimasto piuttosto marginale nel dibattito, il problema è sentito anche nella medicina neonatale. Al momento non esistono dati sui decessi causati da infezioni provocate da batteri multi-resistenti, ma uno studio appena pubblicato sul Journal of the Pediatric Infectious Diseases ha svelato come su 1.320 neonati ricoverati in terapia intensiva neonatale (dunque già non in perfette condizioni di salute) il nove per cento presentasse infezioni ? da batteri portatori di almeno una resistenza antibiotica.
La ricerca ha evidenziato come l’utilizzo prolungato di antibiotici fosse associato a un aumentato rischio di colonizzazione da germi resistenti. Secondo Stronati «nei contesti ospedalieri l’attenzione dovrebbe essere focalizzata sulla prevenzione, più che sul trattamento delle infezioni. Tutti i presidi preventivi, primo fra tutti il lavaggio delle mani, dovrebbero essere incentivati negli ospedali». I batteri più pericolosi per i bambini sono gli stessi che spaventano gli adulti: lo stafilococco aureo (resistente alla meticillina), l’enterococco (resistente alla vancomicina), lo pseudomonas aeruginosa (non risponde ai fluorochinoloni). A cui vanno aggiunti i microrganismi multiresistenti: pseudomonas, klebsiella pneumoniae, escherichia coli, acinetobacter ed enterobacter.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).