Nel febbraio dello scorso anno il consiglio dei ministri aveva approvato la costituzione del registro delle protesi mammarie. Poi la legge si è arenata nella varie commissioni
Nel febbraio dello scorso anno il consiglio dei ministri aveva approvato la costituzione del registro delle protesi mammarie. Poi la legge si è arenata nella varie commissioni. E solo ora si parla di una rapida approvazione, dopo il caso, nel dicembre scorso, delle protesi Pip (Poly Implant Prothese), prodotte da un’importante azienda francese.
Tutti i pezzi che compongono un’automobile o un aereo hanno una loro “firma”, un numero di matricola che permette di sapere dove e quando sono stati prodotti e a quale partita appartengono, per poterli rintracciare in caso si dimostrassero responsabili di qualche avaria. Persino le bistecche oggi in Italia hanno una loro tracciabilità. Ma la stessa cosa non avviene, nella maggior parte dei casi, per i pezzi che vengono inseriti nel corpo umano. Certo gli ospedali più seri sanno quali protesi mammarie o cardiache hanno impiantato nei pazienti e sanno eventualmente rintracciarli. Per quel che riguarda le protesi d’anca esistono già dei registri a livello regionale. Ma di istituire Registri nazionali, a cui tutti facciano capo e che permettano di avere un quadro completo e quindi più affidabile, se ne parla inutilmente da decenni. E se ne parla di solito, secondo una prassi tipicamente italiana, soltanto in seguito a una qualche emergenza. E’ quindi giustificato essere impazienti dopo una così lunga attesa.
Da quando nel 2001, per esempio, scoppiò lo scandalo delle valvole cardiache “brasiliane”, si è discusso a più riprese dell’istituzione di un registro nazionale dei pezzi di ricambio del cuore. Ma sono arrivati soltanto, dieci anni dopo, i risarcimenti per le vittime. Nel febbraio dello scorso anno il consiglio dei ministri aveva approvato la costituzione del registro delle protesi mammarie. Poi la legge si è arenata nella varie commissioni. E solo ora si parla di una rapida approvazione, dopo il caso, nel dicembre scorso, delle protesi Pip (Poly Implant Prothese), prodotte da un’importante azienda francese, che, si è scoperto, ha utilizzato silicone di scarsa qualità. Proprio in un caso come questo si rivelerebbe l’utilità di un registro: le protesi di quel tipo impiantate in Italia sono ben 4mila e, anche se non ci sono prove di eventuale cancerogenicità, sarebbe opportuno che ciascuna paziente venisse controllata. Ma solo alcuni centri oncologici di eccellenza che hanno eseguiti gli impianti sono in grado di rintracciarle.
Nel frattempo arriva un nuovo allarme, riguardante un tipo di protesi d’anca, prodotto anch’esso da una ditta francese: c’è il sospetto che rilasci nell’organismo particelle di cobalto, potenzialmente dannose. Nel 2008, al Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, fu trionfalmente dato l’annuncio dell’istituzione del Registro nazionale delle protesi d’anca a partire dal 2010. A tutt’oggi non è stato ancora completato e non è certo agevole rintracciare e controllare tutti i pazienti cui è stato impiantato quel tipo di protesi. E’ da notare che questa allerta è stata lanciata dalla stessa ditta produttrice, sulle base dell’analisi dei registri nazionali presenti in altri Paesi. A questo infatti servono davvero i registri nazionali, oggi molto più agevoli da gestire grazie all’informatizzazione: non solo a rintracciare le vittime, ma a scoprire il più presto possibile i problemi. Come per i guasti delle automobili.
Riccardo Renzi