L'esposizione alle radiazioni UV riguarda anche chi lavora all'aperto. Spesso trascurate, ci sono norme utili da seguire per prevenire tumori della pelle
I raggi solari e le radiazioni ultraviolette non si fermano ai confini della spiaggia o del sentiero di montagna. E non si limitano ai confini temporali delle nostre vacanze. Una ovvietà? Non tanto: l’esposizione professionale alle radiazioni solari UV dei lavoratori all’aperto è un rischio poco considerato, sul piano normativo e su quello informativo.
LAVORATORI OUTDOOR POCO PREPARATI
Il principale fattore di rischio ambientale per i tumori della pelle è l’esposizione al sole. Comprese le lunghe ore trascorse al sole per chi lavora nei campi e nei giardini, nei cantieri edili e stradali, sui pescherecci o su altre imbarcazioni, e per chiunque svolga attività quotidiana all’aperto. Uno studio italiano multicentrico pubblicato sul Giornale Italiano di Dermatologia e Venereologia ha valutato abitudini e livelli di rischio in oltre 800 adulti colpiti da tumori della pelle diversi dal melanoma e oltre 1500 persone senza una storia di simili malattie. È emerso che fra i pazienti dermatologici era più frequente l’esposizione al sole per divertimento o relax, l’abitudine a lunghi bagni di sole, anche nelle ore centrali della giornata. L’esposizione totale al sole nel tempo libero era simile fra i pazienti oncologici e fra i lavoratori outdoor (un rischio quindi che per questi ultimi si somma fra le ore di lavoro e quelle di svago). Punto importante: l’utilizzo di filtri solari da parte dei lavoratori all’aperto è risultato molto limitato, meno del 20 per cento. Una constatazione “allarmante” secondo gli autori della ricerca.
COSA DICE L’INAIL
La più recente pubblicazione a cura del Sistema di sorveglianza delle malattie professionali ricorda che «sono esposti alle UV naturali (luce solare) i lavoratori all’aria aperta e sono esposti alle UV artificiali i lavoratori addetti alla saldatura, uso di lampade UV in medicina e nell’industria, ecc». Spiega tutti i potenziali danni delle radiazioni ionizzanti, fra cui «invecchiamento precoce della pelle (fotoinvecchiamento), sviluppo di pelle ruvida e squamosa (cheratosi solare)», poi «la radiodermite cronica caratterizzata da pelle secca, sottile, con aree di desquamazione, fissurazioni e caduta dei peli», sino ai tumori della pelle come l’epitelioma spinocellulare e l’epitelioma basocellulare, «anche dopo 20-30 anni».
UN FENOMENO SOTTOSTIMATO
Secondo la Banca dati malattie professionali, fra gli agricoltori e i lavoratori agricoli la frequenza di tumori maligni della cute del volto è 15 volte superiore a quella di altre categorie professionali. Eppure, ricorda sempre l’INAIL, «in Italia, più che in altri paesi europei, risulta ridotta la casistica delle malattie professionali della pelle». Perché? Tante le ragioni possibili, compresa la difficoltà di stabilire un nesso epidemiologico certo, anche per i lunghi tempi di latenza fra esposizione e insorgenza della malattia. «Spesso la diagnosi relativa alle malattie della pelle non è associata all’anamnesi lavorativa, dalla quale potrebbero emergere le eventuali esposizioni professionali». Risultato: gran parte delle malattie tumorali della pelle che sono di fatto malattie professionali passano sotto traccia. Per almeno tre ragioni, conclude INAIL: «La mancata consapevolezza della gravità delle patologie della pelle da parte dei lavoratori; il mancato riconoscimento dell’origine professionale dei disturbi; la scarsa cultura della tutela della salute, che induce alla mancata osservanza delle regole essenziali di prevenzione e protezione, compreso il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione individuale».
LE RACCOMANDAZIONI
Gli esperti dunque raccomandano una adeguata formazione dei datori di lavoro e dei lavoratori, che devono conoscere anche i rischi legati alle radiazioni UV. Devono sapere quali caratteristiche possono aumentare il rischio di malattie cutanee (fototipo, storia familiare, assunzione di farmaci, esposizioni concomitanti ad altre sostanze), devono saper usare le protezioni individuali (filtri solari, abiti adeguati, cappelli, occhiali) e poter usufruire di quelle collettive (fonti di ombra, ripartizione degli orari tali da consentire di stare al riparo nelle ore centrali del giorno); devono infine saper controllare la propria pelle e riconoscere eventuali lesioni che meritano un’occhiata del medico: non solo nevi (o nei), ma anche piccole ferite che non si rimarginano, lesioni arrossate o squamose, crosticine che non guariscono o che si riformano.
Fonti
Donatella Barus
Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.