Particelle minuscole capaci di attraversare le membrane delle cellule o le pareti dei vasi sanguigni possono portare direttamente al centro delle parti malate il farmaco. O, dall’interno, permettere di fare diagnosi precocissime
La possibilità di arrivare al centro del tumore e distruggerlo dall’interno. Colpendo il suo “cuore nero”. La possibilità di individuare il cancro a uno stadio precocissimo, fino a ieri impensabile, e di conseguenza avere speranze reali di sconfiggerlo. Secondo la già nota legge che più il tumore è piccolo più è curabile. Sono applicazioni in parte attuate e soprattutto in corso di ampia ed entusiastica ricerca all’interno della nuova branca che si chiama nanomedicina. Il “contenitore” più ampio è rappresentato dalle nanoscienze che si applicano a tutti i settori tecnologici e arrivano a cambiare la nostra vita nelle piccole come nelle grandi cose, rendendoci la vita diversa come individui e come società. E’ un ambito importantissimo, dunque, che sarà l’oggetto dell’ottava Conferenza mondiale di “The Future of Science” a Venezia, dal 16 al 18 settembre prossimo, organizzata dalla Fondazione Veronesi in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini e la Fondazione Silvio Tronchetti Provera: “Nanoscience Society”. Prima di procedere con l’approfondimento delle conquiste nell’ambito della lotta al cancro, ricordiamo cosa significa quel “nano” preposto a “scienze”: vuole indicare le discipline, dalla fisica alla medicina appunto, alla chimica, che si misurano con il nanometro, equivalente a un miliardesimo di metro. E mentre la testa ci gira nel cercare di immaginare un qualcosa di così piccolo, ascoltiamo il professor Pier Giuseppe Pelicci, co-direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo).
Quali sono i presupposti della medicina formato “nano”?
«Il fondamento della nanomedicina si basa su questi tre punti: 1) piccole particelle in grado di raggiungere qualsiasi parte del nostro corpo. Le particelle di diametro inferiore ai 50 nanometri “filtrano” attraverso la membrana delle cellule, entrando all’interno di esse; le particelle inferiori ai 20 nanometri possono fuoriuscire dalle pareti dei vasi sanguigni e andare ovunque. Si tratta, come si capisce, di uno strumento eccezionale.
Punto 2?
«Queste particelle sono costruite con materiali completamente biocompatibili e possono portare, sulla loro superficie, molecole che, nell’organismo, le indirizzano dove noi vogliamo. Infine, punto 3, possiamo scegliere quale tipo di molecole inserire all’interno di queste particelle, a seconda dell’obiettivo che desideriamo raggiungere». Per parlare delle applicazioni nelle cure antitumorali, il professor Pelicci ricorda innanzitutto che, riguardo alla diagnosi, ormai l’oncologia si è spostata verso la descrizione dei geni e delle proteine “sbagliati” all’interno delle cellule tumorali, e non si tratta più unicamente di diagnosi, per così dire, “esterne”, sul tipo di tumore. E proprio con queste proteine e geni “sbagliati” possono “dialogare” le particelle della nanomedicina. Dunque, si tratta ora di affrontare il cancro aggredendolo dall’interno, colpendo le molecole malate.
Una bella differenza. Con quali vantaggi?
«Attualmente i nostri farmaci uccidono, sì, le cellule malate, ma sfortunatamente anche quelle sane, poiché colpiscono in modo indifferenziato. Ma se io sono in grado di mandare il medicinale solo sulle cellule cattive, inserendolo all’interno particelle guidate da una molecola - un anticorpo - che riconosce il tumore e, dunque, vi si dirige contro, ho fatto bingo! Mi si passi l’espressione. Ma è una meraviglia, no?, questa nuova possibilità».
Quanto futuribile?
«In parte è già realtà. C’è un protocollo, il Caelyx, che è il prototipo di tutti, diciamo pure l’antenato, già in uso negli ospedali.n vecchio farmaco anticancro, la adriamicina, viene inserito dentro le nanoparticelle (micelle) e spedito tramite l’anticorpo specifico a colpire le cellule malate. Il vantaggio oltre alla maggiore efficacia? Non cadono i capelli e non si ha tossicità cardiaca».
La “nanomedicina” ha applicazioni anche per la diagnosi, vero?
«Sì, dentro le particelle, anziché un farmaco, possiamo inserire un liquido di contrasto, una sostanza che, una volta all’interno delle cellule malate, faccia luce e mostri di che tipo di tumore si tratti. Invece di curare, si fa la diagnosi. A uno stadio precocissimo». Il professor Pelicci non nasconde il suo entusiasmo per la grande svolta che si prefigura nell’oncologia e in tutti gli altri settori di cui si discuterà a Venezia. «Siamo dentro una rivoluzione», conclude, «che accanto ai vantaggi porrà nuovi problemi di sicurezza, di etica. Giusto discuterne tutti gli ambiti insieme».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.