Diagnosticato in età pediatrica, il tumore non preclude la possibilità di lavorare e costruirsi una famiglia. Scarseggia però l’assistenza, a partire dalla scuola
Tra le diverse neoplasie tipiche dell’età pediatrica, è quella che assicura i più alti tassi di guarigione, anche se una diagnosi di retinoblastoma spaventa sempre.
È bene sapere, però, che nei Paesi occidentali il decorso della malattia è spesso confortante.
La sopravvivenza è garantita in quasi la totalità dei casi, mentre la conservazione dell’organo risulta possibile nel 60% delle nuove diagnosi.
RETINOBLASTOMA
Il tumore colpisce la retina, la membrana più interna del bulbo oculare su cui si trovano i recettori della vista, i coni e i bastoncelli. Ma scoprire la malattia - che può colpire un occhio solo o entrambi - non è sempre facile, poiché non si manifesta in maniera eclatante.
Spesso sono i genitori a notare i due segni che la caratterizzano: un riflesso bianco nella pupilla e le prime manifestazioni dello strabismo. «Se c’è familiarità per alcune malattie oculari congenite, tra cui il retinoblastoma, il consiglio è di far visitare il bambino a partire dalla nascita», afferma Paolo Nucci, direttore della clinica oculistica universitaria, ospedale San Giuseppe di Milano.
Il retinoblastoma, nella maggior parte dei casi, è in parte scritto nel Dna, come conseguenza di una delezione del cromosoma 13.
Spesso diagnosticato entro i primi 12 mesi di vita, quasi mai si manifesta dopo i cinque anni. Si tratta di una malattia rara: in Italia, come in molti Paesi europei, si contano all’incirca quaranta nuovi casi ogni anno.
Più bassi sono i tassi nei Paesi scandinavi, mentre le statistiche sono significative in India e, più in generale, nei Paesi in via di sviluppo. Dove le diagnosi sono tardive, il rischio di trovare metastasi (cervello e fegato) nelle forme bilaterali è più alto.
BUONE PROSPETTIVE
Quanto al decorso della malattia, c’è però da essere moderatamente ottimisti. In uno studio appena apparso sulle colonne di Cancer, un gruppo di ricercatori dell’ospedale pediatrico St. Jude di Memphis ha esaminato, a tre decenni di distanza dalla diagnosi, la qualità di vita di 69 pazienti colpiti da retinoblastoma in età infantile.
È emerso che la maggior parte dei sopravvissuti lavora a tempo pieno, ha una vita autonoma e ha anche dei figli. Sui soggetti dello studio sono state rilevate l’intelligenza verbale, i livelli di attenzione e memoria, le capacità esecutive e di elaborare le informazioni.
La loro performance è stata superiore alla media per alcuni compiti, tra cui il ragionamento non verbale, ma ben al di sotto della media per la destrezza motoria necessaria per compiti come la scrittura. «Oggi riusciamo ad assicurare un’adeguata qualità di vita a questi pazienti - osserva Antonino Romanzo, oculista dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, l’unico centro in Italia assieme al policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena a curare la malattia -.
La ridotta capacità di esercitare alcune azioni è da ricondurre all’effetto tossico della chemioterapia e a una conseguenza psicologica inevitabile per un bambino che, per tre anni a partire dalla diagnosi, viene ricoverato ogni venti giorni».
IL CALVARIO DEI PICCOLI PAZIENTI
Sul retinoblastoma quasi mai si interviene chirurgicamente. La massa tumorale viene aggredita più spesso con il laser o con la criocoagulazione, al fine di interrompere i rifornimenti vascolari al tumore. Dopodiché si effettuano quattro cicli di chemioterapia sistemica.
Quasi sempre si osserva una guarigione completa, ma i danni alla vista possono essere differenti: si può perdere in parte, se la neoplasia riguarda la periferia della retina, o arrivare alla rimozione dell’occhio, nei casi in cui il tumore colpisce la macula. «I bambini con una capacità visiva limitata necessitano di un’assistenza specifica - denuncia Luca Antonio Casini, membro del consiglio direttivo dell’Associazione italiana per la lotta al retinoblastoma, nata per diffondere la conoscenza della malattia e la diagnosi precoce -.
Non possono scrivere e disegnare sul piano, ma devono farlo in verticale, col supporto di un leggio. Per disegnare hanno bisogno dei pennarelli. Faticano a effettuare giochi di precisione. Per queste ragioni molti di essi non possono frequentare le scuole pubbliche: dove ci sono molti alunni, l’attenzione nei loro confronti cala».
Lo status di handicap grave che dà diritto all’insegnante di sostegno e il sussidio di accompagnamento vengono spesso rimossi dalle Asl a due anni dalla diagnosi, quando il bambino non fa più la chemioterapia. Ma non per questo ha superato le difficoltà. «Quando ciò accade, diventa impossibile portare avanti un processo di scolarizzazione normale», chiosa Casini.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).