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Cardiologia
Daniele Banfi
pubblicato il 27-09-2024

Quando le terapie anticancro danneggiano il cuore



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Alcune terapie hanno come effetto collaterale il danno cardiaco. Fondamentale il monitoraggio e la stretta collaborazione tra cardiologi e oncologi

Quando le terapie anticancro danneggiano il cuore

Cosa c'entra il cuore con una malattia oncologica? Più di quanto si possa pensare. Le terapie anticancro infatti, pur essendo essenziali per combattere la malattia, in alcuni casi e a seconda delle molecole utilizzate possono danneggiare il muscolo cardiaco. Una situazione sempre più diffusa, complice il costante aumento della sopravvivenza, che negli anni ha dato vita ad una nuova disciplina medica: la cardio-oncologia, branca che si occupa della prevenzione, diagnosi, monitoraggio e trattamento delle complicanze cardiovascolari legate alle terapie oncologiche. In occasione della Giornata Mondiale del Cuore approfondiamo insieme il legame tra cure anticancro e danno cardiaco.

CARDIOTOSSICITÀ: UN EFFETTO COLLATERALE DI TERAPIE SALVAVITA

In questi anni, grazie al progresso della ricerca, la quota di persone guarite da un tumore è in continuo aumento. A fronte dei 2 milioni e mezzo di cittadini italiani viventi nel 2006 con una pregressa diagnosi di tumore, si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, pari al 5,7% della popolazione italiana. L’aumento è stato particolarmente marcato per coloro che vivono da oltre 10 o 15 anni dalla diagnosi, segno tangibile del progresso delle cure anti-cancro. Terapie che però, in alcuni casi, possono danneggiare direttamente il cuore. Come sottolineato nel documento realizzato dall'European Society for Clinical Oncology (ESMO) «il rischio varia notevolmente in base al tipo di trattamento e alle condizioni di salute preesistenti del paziente. Ad esempio i pazienti con fattori di rischio cardiovascolare preesistenti sono particolarmente vulnerabili e le complicanze cardiache possono verificarsi anche molti anni dopo la conclusione della terapia oncologica».

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LE COMPLICANZE PIÙ DIFFUSE

Il danno cardiaco può manifestarsi in diverse forme che vanno dalla riduzione della funzione ventricolare sinistra fino all'insufficienza cardiaca conclamata, passando per aritmie e ischemia miocardica. Questi effetti collaterali sono il risultato di specifici meccanismi d'azione delle terapie anticancro che influenzano negativamente il sistema cardiovascolare. Secondo gli ultimi dati disponibili, fino al 20% dei pazienti trattati con antracicline sviluppa danni al cuore. Le terapie mirate, come il trastuzumab, possono causare invece disfunzione ventricolare nel 10-25% dei pazienti. Anche gli inibitori della tirosin-chinasi, utilizzati in varie neoplasie, possono causare complicanze cardiovascolari, come ipertensione e insufficienza cardiaca, in circa 2-6% dei casi. Infine la radioterapia toracica può provocare danni al miocardio e ai vasi coronarici, aumentando il rischio di eventi cardiaci del 7,4% per ogni 1 Gy di radiazione assorbita dal cuore.

I TRATTAMENTI PIÙ DANNOSI

Tra le cure che danno maggiori problemi al cuore, queste sono le principali:

  • ANTRACICLINE: agiscono danneggiando il DNA delle cellule tumorali ma questo effetto tossico non è limitato alle cellule cancerose. Uno dei principali meccanismi attraverso cui causano cardiotossicità è la produzione di radicali liberi che danneggiano il miocardio. Inoltre le antracicline inibiscono l'enzima topoisomerasi II nelle cellule cardiache,  essenziale per la riparazione del DNA
  • TRASTUZUMAB: questo anticorpo monoclonale, utilizzato nel trattamento del carcinoma mammario HER2-positivo, blocca il recettore HER2, essenziale per la proliferazione cellulare. Tuttavia, il recettore HER2 è anche espresso nelle cellule cardiache dove ha un ruolo protettivo nel mantenimento della funzione miocardica. Bloccando HER2 il trastuzumab altera la capacità del cuore di ripararsi e rispondere allo stress, portando a disfunzione ventricolare e, in alcuni casi, insufficienza cardiaca. A differenza delle antracicline, la cardiotossicità da trastuzumab è generalmente reversibile con la sospensione del trattamento
  • INIBITORI TIROSIN-CHINASICI: questi farmaci agiscono bloccando le vie di segnalazione che favoriscono la crescita tumorale, tra cui quella del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). Tuttavia il VEGF svolge un ruolo cruciale anche nella salute dei vasi sanguigni e nel controllo della pressione arteriosa. Bloccando VEGF questi farmaci possono causare ipertensione e danno endoteliale, portando a insufficienza cardiaca e disfunzione ventricolare sinistra
  • IMMUNOTERAPIA: questo approccio, pur agendo sul sistema immunitario, può causare problemi al cuore. Una delle complicanze più diffuse è la miocardite autoimmune, una condizione infiammatoria del muscolo cardiaco
  • RADIOTERAPIA TORACICA: quella effettuata a livello del mediastino (la cavità toracica presente tra i due polmoni) o al torace sinistro può causare danni diretti al miocardio, ai vasi coronarici e al pericardio. Il danno ai vasi può portare a aterosclerosi accelerata, mentre il miocardio può subire fibrosi, con conseguente riduzione della funzione cardiaca. I pazienti sottoposti a radioterapia possono sviluppare malattia coronarica e altre complicanze cardiovascolari anche anni dopo il trattamento. 

L'IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO

Alla luce di questi potenziali danni, come comportarsi durante durante il percorso di cura e nei mesi successivi? Secondo gli esperti di ESMO occorre concentrarsi su tre aree principali: «con un attento screening pre-terapia, l'adozione di misure preventive e un monitoraggio rigoroso, è possibile minimizzare il rischio di danni cardiaci senza compromettere l'efficacia del trattamento oncologico». Ma cosa significa tutto ciò in concreto? Prima della terapia è di fondamentale importanza valutare il rischio cardiovascolare. Test come l'ecocardiogramma e la misurazione dei biomarcatori cardiaci (troponina, BNP) possono fornire dati importanti per monitorare il paziente. Non solo, come viene sottolineato più volte nel documento, «l'uso di farmaci cardioprotettivi, come gli ACE-inibitori, i beta-bloccanti e gli antagonisti dell'aldosterone, devono essere considerati per ridurre il rischio di danno cardiaco durante il trattamento oncologico. Oltre allo screening pre-cure, è fondamentale il monitoraggio durante le terapie: la valutazione di parametri come la frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) e dei biomarcatori cardiaci durante il trattamento può rilevare precocemente segni di cardiotossicità. L'ecocardiografia tridimensionale e la risonanza magnetica cardiaca sono raccomandate per valutare la funzione cardiaca. Infine, proprio perché i danni possono manifestarsi a lungo termine, si rende necessario anche il monitoraggio post-terapia. Ecco perché, oggi più che mai, si rende sempre più necessaria una stretta collaborazione tra oncologi e cardiologi.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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