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Oncologia
Edoardo Stucchi
pubblicato il 06-11-2012

Il farmaco antitumore che va a colpo sicuro



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Grazie alla tecnica delle nanotecnologie i ricercatori hanno realizzato una nanoparticella di pochi miliardesimi di metro che veicola il medicinale contro le cellule malate

Il farmaco antitumore che va a colpo sicuro

Un farmaco antitumorale, efficace ma tossico per l’organismo, è tornato in uso in questi ultimi 2 anni, grazie alle nanotecnologie. Sfruttando la caratteristica delle cellule tumorali di nutrirsi con albumina, i ricercatori hanno realizzato particelle piccolissime di albumina contenenti il farmaco e capaci di superare gli ostacoli che si presentano sulla sua strada prima di arrivare al tumore. La cellula tumorale ingloba la nanoparticella di albumina di cui è golosa e nutrendosi, digerisce il farmaco che la uccide. Una sorta di cavallo di Troia che può cambiare l’esito della battaglia contro i tumori. Ecco la storia di questa battaglia raccontataci da Giuseppe Di Lucca, dirigente medico all’oncologia di Saronno (VA). Nel video, invece, la spiegazione della strada che percorre la nanocellula per arrivare al tumore.


LA POTENZIALITA’ DEL TASSO 

Negli anni ottanta fu scoperta una nuova famiglia di farmaci antitumorali, i taxani, originariamente derivati da alberi della famiglia del tasso. Il principale ostacolo all’utilizzo dei taxani era legato al fatto che questi composti sono poco solubili in acqua e devono essere veicolati in solventi. Grazie a questo trucco, i taxani sono divenuti tra i farmaci antitumorali più utilizzati nella clinica, risultando efficaci nel trattamento di molte neoplasie, in primo luogo del cancro della mammella. Il rovescio della medaglia è però costituito dalle azioni negative dei solventi: questi provocano frequentemente reazioni allergiche (orticaria, crisi asmatiche, spasmi alla gola, violenti dolori alla schiena) che richiedono la somministrazione preventiva di farmaci cortisonici e antistaminici. Inoltre si ritiene che i solventi aumentino alcuni degli effetti tossici dei taxani, in particolare il danno sui piccoli nervi delle mani e dei piedi, che produce perdita di sensibilità, sensazione di punture e talora dolori.


LA NANOPARTICELLA

Nel 1992 un medico, Patrick Soon-Shiong e un chimico, Neil Desai, ebbero l’idea di tentare di superare questi problemi fondendo il farmaco (paclitaxel) con l’albumina, la sostanza che fisiologicamente, nel nostro organismo, è deputata a trasportare sostanze insolubili in acqua. La tecnologia li aiutò a preparare delle nanoparticelle di albumina, del diametro di 130 nanometri (un nanometro è la miliardesima parte di un metro), ognuna delle quali conteneva una piccolissima quantità di paclitaxel. Oltre ad evitare l’uso dei famigerati solventi e a ridurre enormemente il rischio di reazioni allergiche, si scoprì che le nanoparticelle di albumina davano un passaggio al farmaco portandolo direttamente dentro la cellula tumorale.


STUDIO A CONFRONTO

Nel 2003 in uno studio di confronto con il paclitaxel veicolato dal solvente (olio di castoro) la nuova molecola ottenne circa il doppio delle riduzioni tumorali con una tossicità  più accettabile. Unica eccezione la tossicità sui nervi periferici, che risultò più frequente, perché la maggior quantità di farmaco che arrivava alla cellula tumorale, investiva anche la guaina che ricopre i nervi. Successivamente si tentò di dare Abraxane più frequentemente, ma a basse  dosi con risultati incoraggianti.  Nel 2005 pertanto la FDA approvò il farmaco per la terapia del cancro della mammella metastatico in cui la cura di prima linea non era più efficace. Più lento l’arrivo in Italia, con approvazione dell’Aifa nel settembre 2010. Da allora migliaia di donne hanno potuto disporre di un chemioterapico meno tossico. Le due diverse modalità di somministrazione sono ora al vaglio della comunità scientifica internazionale perché dal congresso dell’American Society of Clinical Oncology del giugno sono giunte notizie discordanti sul controllo della malattia.


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