Entro un anno giungeranno sul mercato anticorpi monoclonali per le forme refrattarie o recidivanti dell'emicrania
Il dolore, per i cinque milioni di italiani che ne soffrono, è una iattura. Il mal di testa provocato dall'emicrania - che peraltro è la condizione neurologica più diffusa in età pediatrica - non è uguale agli altri malesseri passeggeri. Nausea, disturbi visivi, ipersensibilità ai suoni, agli odori e alla luce rendono il disturbo più complesso, al punto da costringere alcuni dei pazienti a non poter nemmeno alzarsi dal letto, nelle giornate peggiori. Ma il ventaglio di opportunità farmacologiche oggi in uso - farmaci specifici (triptani e derivati dell'ergot) e non (Fans, antiemetici e analgesici) - è pronto ad arricchirsi di una nuova opportunità. Tempo massimo un anno ed entreranno in commercio gli anticorpi monoclonali che hanno come bersaglio il peptide correlato al gene della calcitonina (Cgrp), un vasodilatatore che interviene nella trasmissione del dolore e i cui valori risultano amplificati negli emicranici.
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UN'INIEZIONE AL MESE
Sono in corso sperimentazioni cliniche di fase 3 in sette centri italiani. I dati preliminari, discussi in occasione del congresso della Società Italiana di Neurologia, hanno evidenziato come con un’iniezione di anticorpi (endovenosa o sottocutanea) a cadenza variabile (da uno a tre mesi) la frequenza e l’intensità degli attacchi di mal di testa può ridursi fino al 70 per cento. Eterogeneo lo spettro di condizioni che potrebbero essere così trattate: emicrania e cefalee a grappolo, comprese le forme che non rispondono ai farmaci. Sono quattro gli anticorpi monoclonali in fase di sperimentazione, ma quello che appare più prossimo all'approdo sul mercato è Erenumab, il cui dossier è già sul tavolo dell'Agenzia Europea del Farmaco (Ema). «I livelli di Cgrp aumentano in concomitanza delle crisi e tornano alla normalità quando l’attacco si risolve - afferma Gioacchino Tedeschi, direttore del centro cefalee della clinica neurologica 1 dell’Università Vanvitelli di Napoli -. Gli studi di fase 1 e 2 hanno dimostrato che anticorpi monoclonali diretti contro il peptide, o contro i suoi recettori presenti sul sistema trigeminale, bloccano questa via del dolore impedendo l'innesco della crisi dolorosa».
MA I PAZIENTI VANNO SELEZIONATI
Il primo approccio terapeutico all’emicrania è generalmente sintomatico, cioè mirato ad alleviare il dolore acuto. I rimedi, in questo caso, sono tanto più efficaci quanto più precocemente assunti. Gli anticorpi monoclonali dovrebbero rappresentare una nuova opzione terapeutica a partire dal prossimo anno, andando ad affiancare le soluzioni già disponibili. Ma visto il costo elevato con cui dovrebbero entrare sul mercato, e in attesa di capire se potranno rappresentare una soluzione già in prima linea o soltanto nelle forme refrattarie, occorrerà identificare i pazienti che potrebbero trarne il maggior beneficio, nel minore tempo possibile. «Sicuramente coloro i quali hanno attacchi di emicrania per oltre 14 giorni al mese o che hanno un’emicrania episodica che non risponde alle terapie preventive - prosegue Tedeschi -. Oppure i pazienti con cefalea a grappolo cronica o episodica resistente ai farmaci. Per tutte queste persone, gli anticorpi monoclonali si candidano a restituire una qualità della vita accettabile. Nella nostra casistica, al momento, ci sono pazienti che hanno di fatto risolto il mal di testa liberandosi dalle crisi».
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ALTRE OPZIONI TERAPEUTICHE
Se gli attacchi diventano frequenti e invalidanti, si deve valutare una terapia di prevenzione basata su diverse classi farmaceutiche, finalizzata alla riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi emicranici. Nei casi più severi, quando cioè si è di fronte a un’emicrania cronica, si può anche ricorrere alla tossina botulinica che, iniettata in diversi punti strategici del capo e del collo, agendo sulle terminazioni nervose, riduce la severità del mal di testa. Inoltre, tra i trattamenti non invasivi, buoni riscontri giungono pure dalla neurostimolazione. Mentre è piuttosto recente la conferma dell'efficacia della chirurgia mini-invasiva per le forme occipitali, più note come cervicale. Secondo uno studio pubblicato sull'European Journal of Plastic Surgery, la causa dei sintomi e degli attacchi di cefalea è rappresentata dall'irritazione di un nervo superficiale (nervo occipitale). Tramite una piccola incisione cutanea (in anestesia locale), l'intervento consiste nella visualizzazione del nervo occipitale e nella sua «liberazione» dalle strutture attigue (solitamente un vaso sanguigno) che ne determinano l'irritazione. In oltre il novanta per cento dei pazienti trattati, la semplice liberazione di tale nervo e la legatura del piccolo vaso che ne determinava l'irritazione ha determinato o la completa scomparsa dei sintomi (in otto pazienti su dieci) o una loro netta diminuzione.
Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).