Uno studio svedese ribalta la teoria sull’origine della fobia sociale che spinge a temere il giudizio altrui. Più donne colpite, ma più uomini dal medico
Non è solo timidezza. E’ una paura del giudizio altrui che può paralizzare. Crea tensione, ansia, paura. Genera “evitamento”, come dicono gli psichiatri, cioè il rifuggire dalle situazioni che destano questi sentimenti e il ritirarsi dalla compagnia altrui. Fino, in certi casi, all’isolamento. Si chiama fobia sociale ed è un disturbo psichiatrico. Che, finora, si spiegava, almeno in parte, con la carenza di produzione della serotonina, uno dei neurotrasmettitori cerebrali coinvolti nei disturbi dell’umore. Ora dall’Università svedese di Uppsala arriva una ricerca, pubblicata su Jama Psychiatry, che rovescia la prospettiva. Quanti soffrono di fobia sociale produrrebbero troppa serotonina e questo eccesso sarebbe all’origine della loro ipersensibilità. Il disturbo di questa ansia sociale che prende chi deve parlare in pubblico o socializzare con altri fino a segnarne l’esistenza (non è “solo” timidezza, si diceva) viene normalmente curato con gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina.
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AMIGDALA, CENTRO DELLA PAURA
I ricercatori svedesi, guidati dai professori Mats Fredrikson e Tomas Furmark, si sono serviti, per “entrare” visivamente dentro il cervello dei pazienti-volontari, della Pet e di uno speciale tracciante per misurare i segnali chimici di trasmissione della serotonina. E hanno per l’appunto trovato che nei malati di fobia sociale si produce troppa serotonina nel “centro della paura” del cervello, ovvero nell’amigdala. Più serotonina prodotta, più ansia nei rapporti con gli altri, concludono.
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UNA PATOLOGIA NUOVA
«È uno studio che contraddice tutti i precedenti», commenta Laura Musetti, ricercatrice presso il dipartimento di psichiatria dell’Università di Pisa, «dovrà essere rivalutato da altri ricercatori. Del resto la fobia sociale è una patologia nuova, nel senso da non molto individuata, con suoi criteri specifici e diagnostica sempre di più. Il tratto caratterizzante è il timore del giudizio da parte degli altri. La particolarità è che nella popolazione generale il disturbo risulta più frequente tra le donne, mentre nella popolazione clinica, cioè tra i pazienti in cura, i due sessi sono ugualmente rappresentati. Anzi, tendono a prevalere gli uomini».
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La spiegazione? «Sembra d’ordine sociale», risponde la dottoressa Musetti. «Se una donna fa la casalinga e soffre di ansia sociale la cosa non interferisce con la sua vita tanto da spingerla a cercare un medico. Per gli uomini conta il ruolo che hanno sempre avuto nella società, nel lavoro. Se devono lavorare in gruppo, discutere contratti, non parliamo poi di tenere discorsi in pubblico, la fobia sociale può interferire pesantemente. Ed ecco allora che spesso noi psichiatri troviamo questo disturbo associato con disturbi dell’umore, uso di sostanze. Spesso c’è un abuso d’alcol, usato per il suo effetto disinibente». E la terapia? «I farmaci classidi, d'elezione, erano gli inibitori della monoamino ossidasi, ma ora si usano di più gli inibitori della serotonina, con buoni risultati».
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.