Il suicidio è un fenomeno multifattoriale che non può essere ricondotto ai soli disturbi mentali. Scopriamo le cause contribuenti e i campanelli di allarme a cui prestare attenzione
Il suicidio è spesso associato alla malattia mentale, ma questa è solo una parte del quadro. Ridurre il rischio di suicidio a un’unica variabile non riflette la complessità del fenomeno. Per approfondire le cause che contribuiscono all’aumento del rischio di suicidio e i campanelli di allarme a cui prestare attenzione abbiamo parlato con Maurizio Pompili, Professore Ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma e Direttore della Unità Operativa Complessa di Psichiatria presso l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant'Andrea di Roma .
IL RUOLO DELLA PANDEMIA
Secondo i dati diffusi dall’Assoociazione Telefono Amico Italia in occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, che ricorre oggi, 10 settembre 2024, il fenomeno suicidario è in crescita. Quali sono gli aspetti legati alla nostra società che potrebbero spiegare questo aumento?
«L’aumento dei casi di suicidio che si sta verificando negli ultimi tempi non deve portare a conclusioni affrettate», chiarisce il professor Pompili. «Occorre infatti monitorare il fenomeno per capire se si tratti o meno di un dato consolidato. Ad ogni modo, anche in presenza di un aumento lieve occorre intervenire con misure preventive».
«La pandemia – prosegue Pompili – ha certamente causato una grande lacerazione con conseguenze importanti soprattutto nei giovani. L’aumento massiccio dell’utilizzo dei social network, che ha temporaneamente salvato tutti noi dalla disconnessione, si è mantenuto in maniera esasperante nel tempo, anche dopo la fine del lockdown, abitudine che si porta dietro una serie di complessità e criticità. Durante la pandemia non c'è stato un aumento dei suicidi, ma quello che ci si aspetta è che possa verificarsi ora, nel momento in cui si vanno a raccogliere gli esiti di un periodo così complesso, non solo legato alla pandemia, ma anche alle guerre di cui siamo testimoni».
NON SOLO MALATTIA MENTALE
I disturbi mentali sono importanti elementi contribuenti al rischio di suicidio, ma non sono esclusivi, e l’aspetto principale a cui prestare attenzione è sempre la sofferenza umana dell’individuo.
«Sarebbe limitativo pensare che dietro al suicidio ci sia esclusivamente un disturbo mentale – riflette Pompili – che, infatti, non implica automaticamente un rischio maggiore di suicidio. La maggior parte delle persone con malattie mentali non ricorre a gesti suicidari, dimostrando la complessità e la natura multifattoriale di questo fenomeno. È vero che patologie come i disturbi dell'umore, il disturbo bipolare o quello depressivo possono agire da catalizzatori, ma solo in individui che già vivono forti emozioni negative. Parliamo, ad esempio, di persone che hanno perso fiducia nelle relazioni interpersonali o nei trattamenti, siano essi psicologici o farmacologici, oppure di coloro che non vedono più un futuro o stanno affrontando gravi perdite o fallimenti personali. In questi casi, la disperazione gioca un ruolo cruciale, spesso più determinante del disturbo mentale stesso, nell'aumentare il rischio di suicidio. Il soggetto disperato cerca un modo per alleviare il dolore insopportabile che vive e in alcune circostanze il suicidio può apparire come l'unica via d'uscita per placare questa sofferenza profonda con la quale si convive».
LA RICERCA DI AIUTO
Le persone che convivono con emozioni profondamente negative sono costantemente impegnate in un dialogo interiore, nel quale valutano le diverse possibilità per alleviare la propria disperazione.
«Il suicidio – spiega Pompili – non è mai la prima opzione presa in considerazione per porre fine al dolore: prima vengono esplorate altre soluzioni, spesso suggerite anche da amici o familiari. Tuttavia, quando queste alternative falliscono, il pensiero del suicidio inizia a farsi strada, emergendo come l'opzione più efficace per porre fine alla sofferenza, che è il vero fulcro del rischio suicidario. Chi comincia a contemplare il suicidio, inevitabilmente, perde fiducia nella possibilità di ricevere aiuto, e sviluppa la convinzione che il proprio dolore sia unico, incomprensibile agli altri e insormontabile, alimentando così un senso di isolamento emotivo».
LE FASCE PIÙ ESPOSTE
In Italia si registrano circa 4.000 suicidi ogni anno, con un rapporto di tre uomini per ogni donna. Il fenomeno del suicidio tende ad aumentare con l’avanzare dell’età e, sebbene negli ultimi anni ci sia stato un incremento dei suicidi tra i giovani, storicamente il tasso più elevato ha riguardato gli anziani. Grazie ai progressi nelle cure sanitarie e alla miglior qualità di vita, questo trend tra gli anziani si è parzialmente ridimensionato, lasciando però un rischio maggiore tra i giovani adulti, specialmente nella fascia d’età lavorativa, dove tale problematica si manifesta con una certa frequenza.
I CAMPANELLI DI ALLARME
Spesso, chi contempla il suicidio manifesta atteggiamenti che possono essere captati da familiari e amici, permettendo così di intervenire tempestivamente per offrire supporto o cercare aiuto professionale. Scopriamo i campanelli d'allarme più comuni.
«Ogni espressione che allude al suicidio dovrebbe essere presa seriamente», ricorda Maurizio Pompili. «Ci riferiamo a frasi come “Non ce la faccio più”, “Non vale più la pena di vivere” o “Vorrei morire”. Anche i segnali comportamentali possono essere significativi: un aumento del bisogno di dormire o, al contrario, l'insonnia, accompagnati da ansia o agitazione. Tuttavia, questi comportamenti comuni devono essere valutati nel contesto di altri cambiamenti significativi, come variazioni nelle abitudini quotidiane, nell’appetito, o nella cura di sé. È importante non trascurare gesti simbolici, come donare oggetti di valore personale o affidare a qualcuno beni di grande importanza emotiva. Altri segnali includono l'allontanamento dagli affetti, l’assunzione di comportamenti rischiosi per la propria incolumità e cambiamenti drastici dell’umore. Se una persona passa improvvisamente da uno stato di angoscia e tristezza a uno di apparente calma o sollievo, potrebbe aver preso la decisione di suicidarsi, trovando in essa una sensazione di sollievo».
COME COMPORTARSI
Se qualcuno nota segnali di allarme legati al rischio di suicidio in una persona cara, è fondamentale agire con tempestività e sensibilità, senza timore di affrontare temi delicati. Non bisogna avere paura di parlare apertamente del suicidio con chi sembra averne bisogno. Chiedere direttamente se ha mai pensato di voler morire o se ritiene che la vita non valga più la pena di essere vissuta è un passo importante per individuare le persone a rischio e indirizzarle verso professionisti della salute mentale. Quando emergono segnali critici, è essenziale che la persona venga accompagnata verso un percorso di cura a sostegno della salute mentale. Tuttavia, anche chi non ha una formazione professionale può svolgere un ruolo chiave, entrando in sintonia con la sofferenza profonda che la persona sta vivendo.
«È importante ricordare che – chiarisce il professor Pompili – anche nei momenti più bui, molte persone conservano la speranza di poter essere alleviate dalla sofferenza che alberga nella loro mente. Spesso tentano di comunicare con chi le circonda, ma si sentono inascoltate o fraintese. Essere presenti e disposti ad ascoltare può fare una grande differenza, offrendo loro un senso di comprensione e vicinanza che potrebbe allontanare il pensiero del suicidio».
COME MIGLIORARE LA PREVENZIONE
La prevenzione è lo strumento più efficace per contrastare il fenomeno del suicidio e deve essere implementata su più livelli. La prevenzione primaria, rivolta all'intera popolazione, ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e la sensibilità sul tema del suicidio. Questo tipo di prevenzione aiuta i cittadini a riconoscere i segnali d'allarme nelle persone a rischio, a trattare il tema del suicidio senza tabù e a gestire eventuali situazioni critiche. È cruciale rendere più visibili i punti di riferimento, come i contatti dei centri di assistenza e supporto per chi affronta pensieri suicidari. In questo contesto, campagne di informazione pubblica, anche nelle scuole, e la formazione dei medici di medicina generale sarebbero di grande utilità. La prevenzione secondaria, invece, si concentra sui gruppi più vulnerabili, come i giovani, gli anziani o coloro che soffrono di patologie mentali, che presentano un rischio aumentato a causa di specifiche condizioni di fragilità. Infine, la prevenzione terziaria è indirizzata a chi ha già manifestato ideazione suicidaria o ha tentato il suicidio. In questi casi, l'intervento di uno psichiatra, con il possibile supporto di trattamenti farmacologici, è indispensabile.
«È importante non dimenticare i "survivors", ovvero le persone che hanno perso un caro per suicidio», conclude il professor Maurizio Pompili. «Spesso ignorata, questa popolazione vive un dolore particolarmente complesso, diverso dagli altri tipi di lutto. Molte volte i survivors non riescono a ricevere l’aiuto necessario per elaborare un trauma così profondo, che li accompagna per tutta la vita».
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile