Dare o non dare al mendicante? L’emozione del dover decidere cambia forse i battiti cardiaci e chi è più sensibile nel coglierli è indotto all’altruismo
Si dice donare col cuore. Si tratta di un modo di dire, ma trova forse una base realistica grazie a una ricerca scientifica sulla nostra sensibilità verso l’organo centrale del nostro organismo. E, forse, della nostra morale. La scena l’abbiamo ben presente, vista o vissuta molte volte: stiamo camminando per la strada dopo una lunga giornata di lavoro faticosa quando vediamo qualcuno, un senzatetto, che chiede aiuto, in soldi o in cibo. Che cosa facciamo? Ci fermiamo immediatamente, rendendoci conto che c’è chi ha avuto una giornata ben peggiore della nostra, frugando nelle nostre tasche o correndo nel più vicino supermarket per comprare qualcosa da mangiare per il mendicante? O, invece, tiriamo dritti impassibili pensando che per quel giorno ne abbiamo avuto abbastanza e abbiamo diritto a un po’ di pace senza che qualcuno ci rompa le scatole chiedendo qualcosa?
LA LINGUA LO DICE
Se il primo esempio è quello che più vi rappresenta, significa che siete una persona di buon cuore. Ancora il cuore: come in molte altre espressioni comuni nel normale linguaggio. Tipo «donare col cuore», «un cuore d’oro», a Milano «col cuore in mano». Eccoci alla ricerca cui accennavamo sopra. Parrebbe che le persone generose davvero ascoltino il loro cuore più degli altri, i suoi battiti. L’indagine è stata condotta dalla Anglia Ruskin University di Cambridge, nel Regno Unito, in collaborazione con scienziati dell’Università di Stoccolma, in Svezia, e pubblicata sulla rivista Scientific Reports.
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COMPUTER E SOLDI VERI
A guidare la ricerca lo psicologo Richard Piech. I volontari per l’esperimento sono stati sottoposti a un gioco sul computer secondo uno schema classico per gli esperimenti in economia. Il gioco simulava la vita reale riguardando se fare o non fare la carità. Le persone avevano a disposizione dei soldi veri che potevano decidere di donare o di tenere per sé. Un altro punto della prova era costituito da un questionario che girava intorno all’altruismo. Infine, ai partecipanti è stato chiesto di impegnarsi per percepire il proprio battito cardiaco. A ciascuno è stato fatto un elettrocardiogramma che registra con dei segni il battito cardiaco. Poi a ciascuno è stato fatto sentire una gamma di suoni e gli si chiedeva se era o no sincronizzato col proprio battito cardiaco. E’ risultato che quanti erano più capaci di «sentire» il loro battito cardiaco erano anche i più generosi. Quelli che erano migliori del 10 per cento nel percepire il proprio cuore avevano donato cinque dollari in più degli altri.
ASCOLTARE IL PROPRIO CUORE
Piech ha commentato: «Siamo rimasti stupiti per la chiarezza del risultato, i dati sono stati netti. Quel primo esperimento l’abbiamo fatto con 30 persone, quello che ne era venuto fuori poteva essere stato un colpo di fortuna, per cui lo abbiamo ripetuto col doppio dei partecipanti. Ebbene, il risultato, chiaro e netto, si è confermato». Come avviene questo legame cuore-decisione? Il dottor Piech avanza qualche ipotesi: può essere che una situazione carica di emotività come quando devi decidere se dare o no del denaro, provochi un cambiamento del battito cardiaco. E che questo mutamento corporeo condizioni la tua decisione spingendola verso l’opzione di donare se sei tra quelle persone che sono più capaci di percepire i loro battiti. Insomma, questa ricerca sembrerebbe suggerire che le persone siano spinte all’altruismo dal fatto di ascoltare il loro cuore. Come il linguaggio comune afferma da tempo.
Serena Zoli
Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.