Conoscere la presenza di una mutazione genetica può aiutare a controllare le manifestazioni cliniche di particolari malattie, grazie a terapie specifiche e stili di vita idonei
La morte cardiaca improvvisa giovanile è scritta nel Dna. Ci sono infatti malattie ereditarie del cuore che possono causare un arresto cardiaco in bambini, adolescenti e giovani adulti apparentemente sani, ma portatori perlopiù inconsapevoli di specifiche alterazioni genetiche. Sono patologie poco comuni, fra le quali Sindrome del QT lungo, Sindrome di Brugada, Sindrome del QT corto e Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica, a volte difficili da diagnosticare clinicamente ma i test genetici sono di grande aiuto.
PERCHÈ SOTTOPORSI AI TEST GENETICI
La situazione più comune per cui è importante svolgere un test genetico è quella in cui in una famiglia venga identificata una persona affetta da malattia ereditaria del cuore. Queste malattie sono causate da difetti del Dna che alterano le proteine regolatrici del ritmo cardiaco e quelle regolatrici della contrazione del cuore. Fra le malattie del primo gruppo vi sono la Sindrome del QT lungo, la Sindrome di Brugada, la Sindrome del QT corto e la Tachicardia Ventricolare Polimorfa Catecolaminergica. Fra le seconde si annoverano le “cardiomiopatie” quali la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomiopatia dilatativa e la cardiomiopatia aritmogena. Quando in un soggetto si sospetta questa diagnosi, o quando la diagnosi viene posta sulla base delle indagini cliniche quali elettrocardiogramma, ecocardiogramma, risonanza magnetica, è poi importante svolgere il test genetico per scoprire lo specifico difetto del Dna che causa la malattia. Una volta identificato il difetto genetico, diventa importante eseguire il test nei familiari del soggetto affetto per scoprire se alcuni di loro siano portatori della stessa alterazione genetica e quindi a rischio di sviluppare la malattia cardiaca. «L’utilità di fare questi test – spiega Silvia Giuliana Priori, professore ordinario di cardiologia all’Università degli Studi di Pavia –, risiede nella possibilità di ottenere maggiori informazioni sulla patologia clinica e, in alcune malattie, il test genetico permette anche di suggerire la terapia più idonea sulla base della tipologia di difetto genetico. In altre circostanze i test genetici possono essere utilizzati in pazienti in cui si sia manifestato un arresto cardiaco al quale sono sopravvissuti, ma la diagnosi clinica non sia stata definita. Questa situazione è tipica di pazienti molto giovani in cui la patologia può essere clinicamente occulta e proprio l’arresto cardiaco permette di farci sospettare che il soggetto potrebbe avere una malattia genetica. In questi casi, i test genetici, eseguiti su un semplice campione di sangue da cui viene estratto e analizzato il Dna, ci permettono di identificare la proteina malata e la specifica alterazione presente».
COME RIDURRE I COSTI
Il peso e l'importanza dell'analisi genetica non è uguale in tutte le malattie. Grazie a un recente documento pubblicato su EP Europace, rivista della Società Europea di Cardiologia, sarà possibile allinearsi sul valore del test genetico nelle diverse malattie. Di tanti geni proposti come patologici, è stata fatta una selezione per arrivare a identificare quelli che, indubbiamente, sono causativi di malattie cardiache ereditarie, escludendo quelli ancora incerti. In questo modo si ha una riduzione dei geni da ricercare, con conseguente diminuzione dei costi. Questo aspetto è particolarmente importante in un paese come l’Italia dove il costo dei test genetici è sostenuto dal Sistema Sanitario Nazionale.
QUANDO FARE I TEST GENETICI
La percentuale di pazienti in cui c’è la possibilità di trovare il difetto genetico è caratteristica specifica di ogni malattia. Questo valore rappresenta un elemento importante per capire per quali malattie sarà prioritario effettuare test genetici rispetto ad altre. «Trovare il difetto genetico per effettuare lo screening dei familiari – chiarisce Silvia Giuliana Priori – è il valore classico dell'analisi genetica. Quello che abbiamo imparato con gli anni è che, in certe malattie, conoscere il difetto genetico ci permette di capire la gravità della malattia che il paziente potrebbe sviluppare, in quanto portatore di un difetto genetico particolarmente maligno. In questo caso, viene fornita un’informazione aggiuntiva a quelle che possiamo rilevare tramite le classiche indagini cliniche come ecocardiogramma ed elettrocardiogramma. Il valore dell'analisi genetica è particolarmente evidente nella sindrome del QT lungo: in questa malattia identificare l’alterazione genetica ci permette di capire in quali condizioni e circostanze, il paziente potrebbe avere un rischio più elevato di sviluppare un’aritmia potenzialmente letale. Sapere che il paziente possa avere le aritmie durante attività sportiva, ci permette di consigliare di evitare allentamenti intesi. Scoprire, invece, che la mutazione predispone ad aritmie quando il paziente è esposto a rumori intensi e improvvisi, permette di suggerire di evitare di fare uso di segnalazioni acustiche ad alto volume quali allarmi dei telefoni cellulare o sveglie posizionate sul comodino. In alcune malattie, abbiamo anche farmaci specifici per correggere le gravi conseguenze di un determinato difetto genetico migliorando la prognosi del paziente come nella Sindrome del QT corto. Nelle cardiomiopatie, è noto che le mutazioni di alcuni geni possono aumentare moltissimo la predisposizione all’arresto cardiaco e, pertanto, diventa fondamentale sulla base del riscontro di mutazioni di questi geni, impiantare un defibrillatore sottocute in modo da proteggere il paziente dalle aritmie».
QUANDO I TEST GENETICI NON SONO FONDAMENTALI
«Ci sono patologie in cui i test genetici non sono così fondamentali», spiega la professoressa Priori. «Nella sindrome di Brugada, ad esempio, nonostante molti anni di lavoro per cercare geni responsabili della patologia, ne conosciamo solamente uno coinvolto nell'insorgenza della malattia: il gene SCN5A. I difetti presenti su questo gene si ritrovano solo nel 20% dei pazienti e pertanto il test genetico ci permette di aiutare solo una piccola percentuale di soggetti, diventando meno fondamentale per la gestione clinica. Tuttavia, nel 20% di soggetti in cui si identifica una mutazione del gene SCN5A, diventa possibile eseguire lo screening dei familiari e identificare prontamente se qualcuno di essi sia a rischio di arresto cardiaco».
VANTAGGI DELLA DIAGNOSI GENETICA
Se un familiare accetta di sottoporsi a un test genetico per indagare se è portatore o meno di una determinata malattia, gliene viene spiegato il vantaggio. «Il paziente, in assenza di sintomi – precisa la professoressa Priori –, potrebbe pensare di non avere la malattia e, di conseguenza, non assumere i trattamenti che possono prevenire le aritmie, oppure potrebbe non adottare lo stile di vita più corretto ed esporsi quindi al rischio di aritmie o scompenso cardiaco, a seconda della patologia presente nella famiglia. Il test genetico, tuttavia, può risultare positivo prima che il paziente presenti i segni della malattia, permettendo di avviare un trattamento che prevenga le manifestazioni più gravi. Grazie all’analisi genetica, la diagnosi può arrivare molto presto, anche nella prima infanzia: questo fa sì che il bambino possa condurre una vita adatta a limitare lo sviluppo della malattia, assumendo il prima possibile la terapia indicata per rallentare la progressione della patologia. Alle volte, nelle malattie particolarmente aggressive, associate a una mortalità aritmica molto alta, possiamo decidere di installare un defibrillatore sottocutaneo o transvenoso, sulla base della sola genetica: spesso questo approccio preventivo ha salvato vite a molti anni di distanza dalla diagnosi».
COME CONVIVERE CON UN GENE MALATO
«Fino a una decina di anni fa – ricorda Silvia Giuliana Priori – la percentuale di familiari che decideva di non sottoporsi a screening genetico era molto alta, all’incirca del 50%. Il rifiuto si basava spesso sulla paura che i risultati delle analisi genetiche potessero diventare noti ad amici e quindi gettare un’ombra sulla famiglia e sullo stato di salute dei suoi membri. Adesso, invece, i pazienti sono diventati più abituati a sentir parlare di test genetici e quindi è più facile che capiscano l’importanza di una diagnosi precoce e accettino di sottoporsi alle indagini genetiche. L'aumento delle nostre conoscenze scientifiche ci permette di fare una comunicazione più efficace sul paziente».
IL VALORE DEL SUPPORTO PSICOLOGICO
«Il risvolto psicologico più difficile da gestire – conclude la professoressa Priori – è quello legato al senso di colpa dei genitori quando vengono a conoscenza di avere trasmesso la malattia ai figli pur essendo sempre stati in “apparente buona salute” e in totale assenza di sintomi. Prima della diagnosi cerchiamo di preparare i genitori a questa possibilità, spiegando loro che non dovranno sentirsi in colpa in caso risultino portatori del gene malato che hanno trasmesso ai figli. Spesso i pazienti provengono da fuori regione, quindi è importante che il centro a cui si rivolgono per la diagnosi genetica, offra la possibilità di fare almeno un primo incontro con uno psicologo in modo da poter comprendere l’importanza di essere aiutati, da parte di un professionista, a superare il disagio provocato dal senso di colpa».
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Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile