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Chiara Segré
pubblicato il 14-12-2015

Un nuovo trattamento combinato per colpire il glioblastoma



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Piccole molecole di Rna artificiali per colpire le proteine che fanno moltiplicare le cellule di glioblastoma: su questo lavora a Napoli la nostra Simona Camorani

Un nuovo trattamento combinato per colpire il glioblastoma

I tumori del sistema nervoso centrale rappresentano ancora una grande sfida per la medicina e la ricerca scientifica: ogni anno, circa 6000 italiani ricevono una diagnosi di tumore al cervello. Tra questi, il glioblastoma è uno dei più diffusi; nel 70% dei casi colpisce persone tra i 45 e i 70 anni di età, ma può presentarsi anche nei bambini. Il glioblastoma multiforme rappresenta il 15-20% di tutti i tumori pediatrici a carico del sistema nervoso centrale. Nonostante i recenti progressi in campo medico, il glioblastoma al momento è uno dei tumori più aggressivi nell'uomo e, ad oggi, non ci sono terapie davvero efficaci per la sua cura. C’è una grande urgenza di trovare approcci terapeutici mirati ed efficaci, e per farlo occorre prima capire i meccanismi molecolari che guidano la nascita e lo sviluppo di questo tumore. Simona Camorani è una giovane ricercatrice napoletana che, dopo essersi laureata in Biotecnologie mediche e aver conseguito un dottorato di ricerca in Oncologia e Endocrinologia molecolare all’Università Federico II di Napoli, sta continuando la sua ricerca sul glioblastoma nella città partenopea all’Istituto per l'endocrinologia e l'oncologia sperimentale "Gaetano Salvatore" del Cnr.               

Simona, di che cosa ti occupi?

«Lavoro sul glioblastoma: in particolare, sto studiando un meccanismo molecolare tipico di queste cellule maligne, guidato dalla proteina EGFR. Essa è presente in grande quantità sulla superficie delle cellule di glioblastoma; circa la metà dei tumori ne esprime anche una forma mutata, EGFR-vIII, responsabile di una maggiore aggressività della neoplasia. Quando si colpisce il glioblastoma con farmaci diretti contro questa proteina mutata, il tumore per difendersi reagisce aumentando un’altra proteina, PDGFR?, innescando un meccanismo compensatorio che ne sostiene la sopravvivenza». 

Emerge quindi chiaramente la necessità di sviluppare un nuovo approccio che colpisca entrambe le proteine, giusto?

«Esattamente. Il mio progetto si propone proprio di sviluppare una terapia innovativa basata sul trattamento combinato delle cellule di glioblastoma con piccole molecole di RNA artificiali, chiamate aptameri, in grado di bloccare le proteine EGFRvIII e PDGFR?. In questo modo le cellule di glioblastoma dovrebbero essere più deboli e sensibili ai trattamenti chemioterapici convenzionali. Abbiamo già ottenuto alcuni risultati preliminari pubblicati sulla rivista scientifica Oncotarget e questo ci incoraggia a proseguire su questa strada». 

Quali sono dunque le possibili prospettive per il trattamento del glioblastoma?

«Siamo ancora molto lontani dal poter dire di aver trovato un nuovo trattamento per il glioblastoma: siamo appena alla fase in vitro, ma i nostri studi possono aprire nuove prospettive di terapia molecolare mirate per il glioblastoma e per i tumori maligni del cervello ad oggi ancora difficili da curare».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«La mia passione per la medicina, che nasce dai tempi del liceo, e il forte interesse nel conoscere le cause di una malattia al fine di allargare la conoscenza umana, migliorare le terapie e curare le persone, mi hanno spinta a intraprendere la strada della ricerca scientifica. Una scelta che si sta sviluppando tra ostacoli e soddisfazioni, tra gioie e dolori ma che sta facendo sempre più parte della mia vita». 

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare.

«Sicuramente la gioia nel vedere pubblicato il primo lavoro come autore, dopo tre anni di ricerca, e naturalmente aver vinto una borsa di studio della Fondazione Veronesi che mi sta permettendo di continuare la mia ricerca». 

Come ti vedi fra dieci anni?

«Spero di poter continuare nel campo della ricerca biomedica, nella speranza di poter contare su una maggiore stabilità economica. Se posso fare questo lavoro è grazie ad associazioni come la Fondazione Veronesi che continua a sostenere economicamente i ricercatori».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La ricerca mi piace perché nel mio piccolo, mi permette di aggiungere un piccolo tassello alle conoscenze attuali e contribuire così al miglioramento dell’umanità. Fare ricerca è esplorare nuovi mondi in cui nessuno si è ancora avventurato». 

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La precarietà delle borse di studio e la  ricerca costante di finanziamenti che toglie tempo prezioso al lavoro a bancone». 

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Progresso e Futuro». 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Non lo so e spero di non doverlo mai scoprire, perché amo troppo il mio lavoro». 

Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca nonostante le mille difficoltà?

«Sapere che quello che facciamo possa uscire dalle mura del laboratorio e aiutare e migliorare la vita di molti malati». 


@ChiaraSegre

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Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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