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I nostri ricercatori
Francesca Borsetti
pubblicato il 31-08-2021

Nuovi bersagli molecolari contro il rabdomiosarcoma



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L’enzima S-nitroso-glutatione reduttasi (GSNOR) potrebbe influenzare lo sviluppo del tumore e la sua sensibilità ai farmaci diretti verso i mitocondri. La ricerca di Costanza Montagna

Nuovi bersagli molecolari contro il rabdomiosarcoma

Il rabdomiosarcoma è un tumore che colpisce i tessuti muscolare, adiposo e connettivo ed è la neoplasia dei tessuti molli più comune nei bambini e nei ragazzi. Coinvolge cellule chiamate rabdomioblasti, da cui si originano le cellule muscolari scheletriche. Il rabdomiosarcoma è raro, ma molto aggressivo, e la prognosi è spesso infausta. Le cause della sua insorgenza non sono ancora note, ma studi recenti hanno evidenziato che i rabdomioblasti tumorali mostrano un elevato stress ossidativo.

Costanza Montagna è ricercatrice post-doc presso l’Università di Tor Vergata di Roma, e studia il ruolo dell’enzima antiossidante S-nitroso-glutatione reduttasi (GSNOR) nell’insorgenza e lo sviluppo del rabdomiosarcoma. GSNOR è un enzima che controlla l’accumulo di specie reattive dell’ossigeno nei mitocondri e il suo coinvolgimento nel rabdomiosarcoma è investigato per la prima volta in questo studio. Il progetto sarà sostenuto per il 2021 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.

Costanza, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Alla base del rabdomiosarcoma c’e? la trasformazione tumorale dei rabdomioblasti, cellule che danno origine ai muscoli scheletrici volontari. Recenti scoperte hanno individuato nell’eccessiva produzione di specie reattive all’ossigeno (causa di stress ossidativo, N.d.R.) la causa centrale nell’insorgenza di questo tumore».

Qual è il vostro obiettivo principale?

«L’obiettivo di questo progetto è studiare il ruolo dell’enzima antiossidante GSNOR nell’insorgenza e nello sviluppo del rabdomiosarcoma. GSNOR protegge i mitocondri dallo stress ossidativo e svolge un ruolo critico nella differenziazione e maturazione muscolare dei mioblasti in miotubi: la nostra ipotesi e? che la mancanza di questo enzima possa determinare la trasformazione tumorale e rendere queste cellule più? sensibili ai farmaci che colpiscono i mitocondri».

Quali sono le possibili applicazioni alla salute umana?

«I risultati di questo studio consentiranno di identificare nuovi bersagli molecolari per lo sviluppo di terapie mirate nel trattamento del rabdomiosarcoma».

Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Si. Ho passato sette anni a Copenaghen, in Danimarca. Sono partita durante il mio dottorato di ricerca. Mi era capitata una opportunità imperdibile e non me la sono lasciata sfuggire. Il mio mentore ha avuto la possibilità di spostarsi con tutto il gruppo di ricerca e fondare una nuova unità all’interno del Danish Cancer Society Research Center. Qui ho lavorato per tre anni e successivamente mi sono spostata come post-doc all’Istituto di Medicina dello Sport di Copenaghen, dove sono rimasta per altri quattro anni».

Cosa ti ha spinto ad andare?

«La voglia di allargare gli orizzonti in ambito lavorativo e la curiosità di vivere in un Paese straniero. Questa esperienza mi ha cambiata profondamente, consentendomi di scoprire un mondo più vasto. Ma ha anche rafforzato in me l’appartenenza alla cultura da cui provengo: sono nata e cresciuta a Roma e la città eterna mi è mancata fin dal primo giorno».

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Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Mi sono iscritta alla Facoltà di Biologia per inseguire la mia passione per il mare, passare la vita tra una scogliera e un’altra, all’inseguimento di pesci pagliaccio e tartarughe marine. La vita - come insegna la scienza - è il risultato casuale di collisioni tra gli eventi e le nostre scelte. E così, studiando la biologia cellulare e molecolare, mi appassionai al mondo microscopico. Rimasi sorpresa dalla bellezza e dalla suprema organizzazione del mondo cellulare».

Come ti vedi fra dieci anni?

«Vorrei avere un mio gruppo di ricerca, essere da guida per giovani studenti e dedicare del tempo all’insegnamento».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La creatività».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La competizione estrema e la burocrazia».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«La ricerca è molto faticosa e avara di successi. La sfida è quotidiana. Quando la tenacia e l’impegno vengono premiati dai risultati, si aprono improvvisamente tante opportunità e l’entusiasmo cancella il sacrificio».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«Ipazia di Alessandria, la donna più sapiente dell’antichità e la prima scienziata-filosofa donna, vissuta nel 370 d.C. Astronoma, matematica, filosofa neoplatonica, medico e madre della scienza sperimentale, Ipazia fondò il metodo di ricerca come lo conosciamo oggi, fondato sul pensiero libero e una costante e disciplinata ricerca della verità. Oltre a incarnare il simbolo dell’amore per la verità, la ragione e la scienza, Ipazia era una eccellente divulgatrice e se ne andava in giro per le strade di Alessandria a spiegare cosa volesse dire libertà di pensiero e l’uso della ragione. Purtroppo fu martire della libertà di pensiero: venne brutalmente assassinata per ordine di Cirillo, vescovo e patriarca di Alessandria, arrecando un danno incolmabile all’umanità e alla dignità della donna».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«In passato avrei fatto l’architetta».

Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca e dà un significato alle tue giornate lavorative?

«Penso a una bambina di sei mesi, affetta dall’atrofia muscolare spinale (una gravissima malattia genetica neuromuscolare), guarita grazie alla terapia genica all’ospedale di Napoli. Storie come questa danno al nostro lavoro un senso che ci trascende. L’impegno del singolo ricercatore ha un senso filosofico soltanto se raccolto ed elaborato all’interno della comunità scientifica, raggiungendo risultati inimmaginabili in termini di vite umane».

In che modo potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza?

«Nel nostro Paese la scienza non ha l’importanza che merita. A causa della pandemia si è generata una grande attenzione sul tema e mi auguro che rimanga viva anche dopo l’emergenza. A ogni modo, i programmi scolastici delle materie scientifiche andrebbero aggiornati e offerti agli studenti in una veste più accattivante, che accenda la curiosità dei ragazzi. Inoltre, i media dovrebbero quotidianamente informare scegliendo un linguaggio comprensibile a tutti. Lo Stato italiano si dovrebbe almeno allineare ai finanziamenti per la ricerca delle altre nazioni europee. Ho sottoscritto l’appello di Fondazione Umberto Veronesi “Se non ora quando?” per arrivare a un investimento del 3% del PIL. Importanti sostenitori sono le Fondazioni private, che sento di dover ringraziare fortemente per la loro visione sul futuro».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non penso che il sentimento antiscientifico in Italia sia più forte che in altri Paesi europei. Bisognerebbe responsabilizzare l’informazione, che spesso dà molta attenzione ai pochi che sbandierano fake news, invece di valorizzare la conoscenza».

Costanza, cosa fai nel tempo libero?

«Dedico la maggior parte del tempo ai miei due figli piccoli e a mio marito (anche lui ricercatore), giocando spensieratamente con dinosauri, lego e altri mostri. Con quel poco che resta, mi piace l’arte, la compagnia delle persone care, mangiare e bere bene, passeggiare con il nostro cane, praticare yoga, ascoltare buona musica, guardare film d’autore».

Se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«È una carriera difficile e molto competitiva, ma ne sarei felice».

Quando è stata l’ultima volta che hai pianto?

«Ieri. Ho pianto perché Sofia Loren, nel suo ultimo film, mi ha ricordato mia nonna».

Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Vorrei viaggiare sulle ferrovie che attraversano la Siberia e la Mongolia, la transiberiana e transmongolica».

Sei felice soddisfatta della tua vita?

«Si, molto».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie per rendere possibile un futuro migliore. Sostenere la ricerca scientifica è un generoso investimento sul futuro e un atto di amore per la conoscenza».

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