Il nuovo Ministro della Salute inglese, Therese Coffey, beve, fuma e mostra un significativo sovrappeso. La salute pubblica e i cittadini possono esserne influenzati negativamente?
Fuma, beve, non è in formissima, e sembra non preoccuparsene. Stiamo parlando di Thérèse Coffey, non esattamente il Ministro della Salute che ci si aspetta. Eppure, è stata scelta per ricoprire questo ruolo poche settimane fa, nel travagliato governo inglese di Liz Truss, che si è dimessa dopo soli 45 giorni da Primo Ministro, rimanendo in carica fino all'insediamento del suo successore Rishi Sunak, avvenuto il 25 ottobre.
Diverse le perplessità emerse anche su svariati giornali britannici, tra chi si domandava quali sarebbero state le reazioni dei cittadini al fatto che il nuovo Ministro della Salute inglese sia una fumatrice e chi si chiedeva se le scelte di Thérèse Coffey, in tema di salute pubblica, sarebbero state orientate al bene comune. I dubbi sembrano leciti viste le recentissime decisioni prese dal neo Ministro della Salute.
IL BENE COMUNE È A RISCHIO?
La Gran Bretagna vede sempre più lontano l’obiettivo che si era prefissata: diventare un paese “no smoking” entro il 2030, scendendo sotto il 5% di fumatori. Thérèse Coffey, infatti, ha deciso di abbandonare la campagna anti-fumo del governo inglese. In questo modo non verrà raccomandato l’innalzamento dell’età per acquistare il tabacco di un anno, ogni anno, e di stanziare altri 125 milioni di sterline per incoraggiare i cittadini a smettere di fumare. La Coffey, che già in passato aveva ostacolato altre iniziative anti-fumo, ha dichiarato di non voler agire dicendo alle persone come comportarsi o imponendo misure di salute pubblica prescrittive. Preferisce, invece, “un programma positivo di prevenzione”. La vicenda della Coffey dà lo spunto per almeno due domande, a cui abbiamo cercato risposta: l’operato di chi è chiamato a difendere la salute altrui può essere compromesso dal suo stile di vita? E quale influenza hanno sull’opinione pubblica questi modelli di comportamento?
IL RUOLO DEI MEDICI FUMATORI
Anche i medici rappresentano punti di riferimento importanti per i cittadini e hanno il compito di guidarli verso le scelte migliori per la loro salute. Il timore che un medico fumatore non si prodighi a sufficienza per aiutare i propri pazienti a cercare di smettere di fumare è fondato? Secondo un recente studio condotto presso l’Istituto dei Tumori di Milano sembra di no: l'abitudine al fumo dei medici non ha influenzato la loro formazione e l’abitudine nell'offrire ai pazienti interventi per la cessazione del fumo.
«Un medico che fuma può comunque fare interventi efficaci», riflette la dottoressa Elena Munarini, psicologa e psicoterapeuta presso il Centro antifumo Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e componente del Comitato scientifico per la lotta al fumo di Fondazione Umberto Veronesi. «L’importante è essersi costruiti una solida formazione riguardo alle strategie comunicative davvero efficaci per promuovere il cambiamento di un comportamento spesso così difficile da modificare come il tabagismo. Se ci sono empatia, capacità di ascoltare e assenza di giudizio la sfera più personale del medico può passare in secondo piano. L’importante è essere consapevoli dei danni del fumo, e magari aver considerato anche un percorso personale per smettere di fumare, evitando assolutamente il negazionismo. D’altra parte vediamo spesso come il medico non fumatore che si pone come giudicante e autoritario, ma senza offrire alcun aiuto concreto, possa essere comunque inefficace nel promuovere questo cambiamento, aumentando solamente il senso di impotenza e inadeguatezza che le persone spesso provano non riuscendo con le loro sole forze a smettere di fumare».
QUANTO COSTA IL FUMO?
Il tabacco provoca più decessi di alcol, aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme. Il fumo di tabacco, in particolare, è una causa nota o probabile di almeno venticinque malattie, tra le quali broncopneumopatie croniche ostruttive e altre patologie polmonari croniche, cancro del polmone e altre forme di cancro, cardiopatie, vasculopatie.
La spesa sanitaria pubblica annuale mondiale per trattare le sei principali categorie di malattie legate al fumo è stimata intorno a 25,3 miliardi di euro, mentre è stimata in ulteriori 8,3 miliardi di euro all’anno la perdita in termini di produttività. Se monetizzati, gli anni di vita persi a causa del fumo corrisponderebbero a 517 miliardi di euro ogni anno. L’effetto negativo del tabacco sulla salute, sull’economia e sul lavoro è evidente. In Inghilterra, nello specifico, sono 506.100 i ricoveri ospedalieri annuali attribuibili al fumo, aumentati del 10% negli ultimi dieci anni, e 74.600 i decessi attribuibili al fumo. A registrare la differenza più sostanziale sono le prescrizioni dispensate per aiutare le persone a smettere di fumare: 710 mila nell’anno 2019/2020, il 71% in meno rispetto a 10 anni fa. Le recenti decisioni del Ministro della Salute, dunque, potrebbero minare ulteriormente la salute pubblica e le tasche dell’Inghilterra. La domanda sorge spontanea: Thérèse Coffey sta permettendo alle sue idee personali di interferire con il bene comune dei cittadini e della nazione, non solo con le proprie decisioni, ma anche con i propri comportamenti?
QUANTO SIAMO INFLUENZABILI?
I personaggi pubblici e, in generale, quelli con una certa carica, autorevolezza e visibilità possono diventare dei veri e propri influencer. C’è il rischio che anche questo anomalo personaggio politico possa diventare un modello negativo, spingendo a sottovalutare l’importanza degli stili di vita e invitando all’emulazione? Noi essere umani, fortunatamente, non apprendiamo solo attraverso esperienza diretta, ma anche osservando i comportamenti e le azioni degli altri. «Noi non abbiamo bisogno di andare da soli nella savana per capire che il leone è un animale pericoloso – ci aiuta a riflettere Simona Sacchi, professore di Psicologia Sociale del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca –, lo sappiamo perché ce lo tramandiamo di generazione in generazione, fin dall’antichità. Questo è un grandissimo vantaggio evolutivo per l'essere umano che è un animale iper sociale e, altrimenti, non sarebbe riuscito a sopravvivere con così tanta facilità. In psicologia esiste una teoria classica elaborata dallo psicologo canadese, Albert Bandura, sul modellamento, ovvero una modalità di apprendimento basata sull’osservazione di un modello e sull’imitazione del suo comportamento. Bambini che osservano adulti mentre picchiano delle bambole, se privati della possibilità di giocare, in condizione di frustrazione, tendono a mostrare un comportamento più aggressivo e ad emulare il modello negativo, come testimoniano alcuni esperimenti».
IL ROLE MODELING
A seguito delle teorie di Bandura, si è sviluppato un grande filone di ricerca, definito role modeling (modelli di ruolo), per capire se modelli positivi o negativi potessero effettivamente influenzare le condotte degli individui. I modelli sono sempre persone importanti e influenti per gli osservatori, come ad esempio genitori, caregiver, insegnanti e nonni, nel caso in cui gli osservatori siano bambini, ma anche persone con cui non abbiamo relazioni personali strette come influencer o persone in vista nel mondo politico o dello spettacolo. «Un famoso studio condotto su adolescenti afroamericani – prosegue la professoressa Sacchi – ha dimostrato che l'esposizione a determinati modelli, al di fuori della sfera familiare, che mettevano in atto comportamenti positivi o negativi, riusciva ad influenzare la risposta comportamentale sui ragazzi afroamericani esposti a questi modelli. Il role modeling sembra avere influenza sul comportamento delle persone, anche quando si parla di personaggi politici che sono persone ad alto status, autorevoli e credibili. Quando questi modelli adottano determinati comportamenti sono maggiormente in grado di influenzare alcuni atteggiamenti degli osservatori».
NON SIAMO TABULAE RASAE
Fortunatamente le variabili da tenere in considerazione sono moltissime. «Non dobbiamo pensare che, automaticamente, se osserviamo una persona autorevole che mette in atto certi comportamenti, saremo portati ad imitarla, perché non siamo tabulae rasae», precisa Simona Sacchi. «L'età del pubblico destinatario del messaggio influenza moltissimo questi processi di imitazione, e gli adolescenti sono sicuramente più soggetti all'influenza del “role modeling” rispetto agli adulti, ma ci deve essere già una sintonia rispetto al cambiamento e una predisposizione individuale. Chi ha atteggiamenti già consolidati nei confronti del bere e del fumare è difficile che cambi solo perché vede un politico che beve e fuma, fortunatamente. Sembra che le persone che tendono a imitare comportamenti negativi abbiano già una predisposizione al cambiamento comportamentale in quella direzione e presentino già un desiderio di andare in quella direzione, a priori. Bandura stesso sosteneva che anche i bambini, per imitare il comportamento negativo degli adulti, dovevano essere in una condizione di frustrazione e provare rabbia, altrimenti non avrebbero messo in atto comportamenti violenti».
AMMETTERE I PROPRI ERRORI SERVE?
Alcuni personaggi in vista fanno di tutto per celare alcuni comportamenti che temono possano minare la loro credibilità a far perdere fiducia nel loro pubblico. Thérèse Coffey, invece, non si è mai nascosta e si è dichiarata consapevole di non essere un modello, ma di sapere di cosa ha bisogno la sanità pubblica inglese per tornare ad essere efficiente. «Aver ammesso di non essere un buon modello può aiutare – spiega la professoressa Simona Sacchi –, ma non va a eliminare i processi di imitazione nel caso in cui gli osservatori siano già predisposti e si identifichino molto col personaggio. Il fatto che lei ammetta i suoi limiti e le sue abitudini genera un credito di credibilità: Thérèse Coffey non finge di essere quella che non è, e presenta apertamente le sue debolezze e questo può farla avvicinare molto al pubblico».
Un soggetto che mette in atto comportamenti fallibili, che non sono confinati nelle prescrizioni associate al loro ruolo, da un lato può vedere diminuita la sua credibilità, ma dall’altra parte può far aumentare negli osservatori un senso di familiarità. Il cittadino sarà portato a vedere il modello istituzionale come maggiormente umano e più simile a lui, aumentando l’apprezzamento nei suoi confronti. Thérèse Coffey si presenta con atteggiamenti e immagini, con i quali molti potrebbero identificarsi.
OCCHIO AGLI STEREOTIPI
Sovrappeso, ma anche tabagismo e consumo di alcol sono temi relativi alla salute che, tuttavia, rischiano di farci entrare nell’insidioso mondo degli stereotipi. «Spesso pensiamo, erroneamente, che le persone sovrappeso decidano di comportarsi in un certo modo e che quindi la loro condizione dipenda solo dalla volontà dell'individuo e tendiamo a stigmatizzarle, come tutte le persone che mettono in atto comportamenti non salutistici o non sanno controllarsi», riflette Simona Sacchi. «Questo è vero solo parzialmente: l'obesità dipende da moltissimi fattori, sia genetici sia di salute, anche mentale, quindi in realtà vedere il peso solo come frutto di una nostra scelta e mancanza di volontà è uno stereotipo sociale negativo, sintomo di un pregiudizio».
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Fonti
Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile