Lupus, sclerosi multipla e la sindrome di Sjögren potrebbero essere affrontate in futuro grazie a nuovi farmaci con l'obiettivo di ottenere una remissione a lungo termine. L'analisi pubblicata su Science
La possibilità di disattivare in modo mirato il sistema immunitario rappresenta una grande opportunità per il trattamento delle malattie autoimmuni, la terza categoria di patologie più diffusa, seconde solo al cancro e alle malattie cardiache. In particolare, la molecola chiamata ligando della citochina CD40 (CD40L), potrebbe offrire un controllo efficace su queste malattie, in quanto rappresenta un attore essenziale per lo sviluppo delle risposte immunitarie. Diversi farmaci che bloccano il CD40L sono stati testati in studi preclinici e clinici e hanno mostrato risultati promettenti nel trattamento delle malattie autoimmuni, sia organo-specifiche che sistemiche. Grazie a questi progressi -sottolineano Jon D. Laman, Michael Molloy e Randolph J. Noelle in un approfondimento da poco pubblicato sulle pagine di Science- si prevede che l'uso di questi farmaci possa essere esteso a un numero maggiore di malattie infiammatorie, come la malattia infiammatoria intestinale e l'artrite reumatoide, permettendo un controllo più efficace della loro progressione.
CHE COS'È L'AUTOIMMUNITÀ?
Un sistema immunitario sano è essenziale per difendere il nostro organismo dalle malattie e dalle infezioni. Ma, se questo non funziona correttamente, può iniziare ad attaccare erroneamente cellule, tessuti e organi sani. È proprio quello che si verifica nelle malattie autoimmuni, che possono interessare qualsiasi parte del corpo, indebolendo le funzioni corporee e persino rappresentando un pericolo per la vita. Ad oggi sono note più di 80 malattie autoimmuni. Alcune sono ben conosciute, come il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla, il lupus e l’artrite reumatoide, mentre altre sono rare e ancora difficili da diagnosticare. La maggior parte di queste non hanno cura, mentre altre richiedono un trattamento permanente per alleviare i sintomi. Le donne risultano più colpite, in quanto quasi l’80% delle persone con una condizione autoimmune cronica è di sesso femminile. Le cause sono di natura multifattoriale, cioè sono una commistione di predisposizione genetica e fattori ambientali.
IL RUOLO DI CD40L
CD40L è una molecola molto importante per il sistema immunitario, poiché aiuta a regolare sia la produzione di anticorpi che le risposte delle cellule immunitarie. Si trova principalmente sui linfociti T (un tipo di cellule essenziali per l’immunità) e sulle piastrine, e svolge un ruolo cruciale nell'attivazione dei linfociti B, le cellule che producono anticorpi, oltre che nel mantenere la memoria immunitaria. Quando CD40L si lega al suo recettore principale CD40, o ad altre molecole con cui ha affinità, è in grado di regolare l'infiammazione e le risposte immunitarie. Gli scienziati hanno osservato che bloccando CD40L sembra possibile trattare efficacemente alcune malattie autoimmuni e migliorare l'accettazione di trapianti di pelle e organi, prevenendo il rigetto.
LA CURA DELLE MALATTIE AUTOIMMUNI
Per le sue caratteristiche CD40L rappresenta un target cruciale per il trattamento di diverse malattie autoimmuni, in quanto in grado di agire su cellule che hanno un ruolo fondamentale nella genesi e nella progressione di alcune di queste patologie, come il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla, e la sindrome di Sjögren. L'intervento terapeutico su CD40L mira a bloccare la sua azione, al fine di ridurre l'infiammazione e modulare la risposta immunitaria e ha mostrato risultati promettenti in studi preclinici e clinici. Ad esempio, nel caso del lupus, una malattia autoimmune infiammatoria sistemica, l'aumentata espressione di CD40L è stata associata alla progressione della malattia, con un ruolo centrale nella produzione di autoanticorpi che causano danni agli organi bersaglio. È stato dimostrato che agendo contro il CD40L è possibile ridurre la produzione di autoanticorpi in fasi precoci, riducendo i sintomi della malattia, e ottenere effetti benefici anche nelle fasi avanzate, soprattutto nella riduzione delle complicanze renali. Analogamente, nella sclerosi multipla, una malattia caratterizzata da episodi acuti di infiammazione con disabilità progressiva, molecole dirette contro il CD40L hanno dimostrato di poter prevenire la malattia in modelli preclinici. Gli studi clinici hanno confermato l'efficacia delle terapia anti-CD40L nel ridurre le lesioni cerebrali e i livelli di danno tissutale, con un possibile vantaggio rispetto alle attuali terapie. Per quanto riguarda la sindrome di Sjögren, una condizione autoimmune che attacca le ghiandole salivari e lacrimali, il CD40L svolge un ruolo chiave nell'attivazione delle cellule T e B, contribuendo alla produzione di autoanticorpi. Gli studi preclinici e clinici hanno dimostrato che l'inibizione del CD40L può ridurre significativamente l'infiammazione, migliorando così i sintomi della malattia.
LIMITI E PROSPETTIVE FUTURE
Nonostante i promettenti risultati ottenuti finora, le terapie anti-CD40L non sono esenti da limitazioni, sottolineano i ricercatori nell'approfondimento pubblicato su Science. Una delle principali preoccupazioni riguarda la sicurezza dato che, in passato, gli antagonisti del CD40L di prima generazione erano associati a un aumento del rischio di eventi tromboembolici. Tuttavia, i nuovi agenti di seconda generazione sembrano aver superato queste problematiche, mostrando un profilo di sicurezza migliorato e un'elevata tollerabilità nei pazienti trattati, anche quelli con rischio elevato per tali eventi. L'interruzione prolungata del funzionamento del CD40L potrebbe anche aumentare la suscettibilità alle infezioni e ad altre patologie in cui il sistema immunitario gioca un ruolo cruciale, come il cancro, e pertanto richiederà un monitoraggio attento nei futuri studi clinici. Guardando al futuro, le prospettive per le terapie anti-CD40L sono particolarmente promettenti, soprattutto se si considerano i potenziali effetti a lungo termine. Gli studi preclinici, infatti, suggeriscono che le molecole anti-CD40L potrebbero indurre una tolleranza immunologica duratura, riducendo la necessità di trattamenti continui. Se questi effetti saranno confermati negli studi clinici, le terapie anti-CD40L potrebbero rappresentare una vera rivoluzione nel trattamento delle malattie autoimmuni, offrendo non solo un miglioramento sintomatico, ma anche una possibile remissione a lungo termine della malattia.