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Daniele Banfi
pubblicato il 28-07-2023

Covid-19: "leggero" o "pesante" è questione anche di genetica



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La presenza di alcune particolari mutazioni influenza la risposta al virus. Alcune proteggono, altre aggravano la situazione

Covid-19: "leggero" o "pesante" è questione anche di genetica

Perché ci sono persone che contraggono Covid-19 in forma completamente asintomatica e persone, apparentemente in ottimo stato di salute, che sviluppano forme severe della malattia? Le variabili in gioco sono molte e probabilmente rimane ancora molto da scoprire. A quasi 4 anni dalla "nascita" di Sars-Cov-2 alcuni studi hanno però iniziato a decifrare le ragioni di queste profonde differenze. Alla base della diversa risposta al virus sembrerebbe esserci la genetica. Un recente studio publicato sulla rivista Nature ha dimostrato che possedere una particolare mutazione genetica (HLA-B*15:01) rende asintomatici quando si contrae il virus. Al contrario, come analizzato in altri studi pubblicati negli scorsi anni, la presenza di altre mutazioni esporrebbe ad un aumentato rischio di sviluppare forme più gravi anche se si è in buona salute.

COME FUNZIONA LA RISPOSTA IMMUNITARIA?

Ogni volta che entriamo in contatto con virus e batteri il nostro sistema immunitario risponde innanzitutto con una difesa "innata". Attraverso di essa il corpo risolve il 90% dei problemi causati dal contatto con gli agenti patogeni. Essa però è totalmente aspecifica, ovvero non discrimina il tipo di "invasore" che si ha di fronte. L'immunità innata precede e si accompagna all'immunità adattativa, la linea di difesa più specifica, costituita dalla produzione di anticorpi e cellule T in grado di riconoscere ed eliminare in maniera specifica l'agente infettivo incontrato. L'insieme di queste due modalità di difesa è ciò che ci consente di superare l'infezione.

IL RUOLO DI MBL

Per quanto riguarda la difesa innata, particolare importanza è rivestita dalle "proteine del complemento", una sorta di "antenati" degli anticorpi. Uno studio pubblicato su Nature lo scorso anno, ad opera degli scienziati di Humanitas guidati dal professor Alberto Mantovani, ha dimostrato che le proteine MBL (Mannose Binding Lectin) giocano un ruolo fondamentale in questa risposta. Dalla ricerca è infatti emerso che variazioni nei geni responsabili della produzione di MBL sono associate a gravità di Covid-19.

IL RUOLO DELL'INTERFERONE

Una caratteristica simile, utile a spiegare perché alcune persone in buona salute possono sviluppare forme gravi di Covid-19, riguarda l'interferone-1, molecola prodotta dalle cellule che ci difendono e necessaria a guidare la risposta del sistema immunitario. Due studi pubblicati su Science nell'estate 2021 che circa il 15% delle forme gravi di Covid-19 sarebbe dovuta ad una predisposizione genetica. Nel primo studio gli scienziati, analizzando i tessuti provenienti da oltre 900 persone con forme gravi di Covid-19, hanno scoperto che nel 10% dei casi erano presenti auto-anticorpi contro l'interferone. Anticorpi in grado probabilmente di influenzare negativamente la risposta contro il virus. Nel secondo studio invece gli scienziati hanno scoperto che un ulteriore 3,5% di pazienti con forme gravi di Covid-19 presentavano mutazioni genetiche capaci di influenzare la corretta produzione dell'interferone-1. Un risultato perfettamente in linea con il primo studio. 

QUANDO LE MUTAZIONI PROTEGGONO

Che dire invece di quelle persone che nonostante l'infezione non manifestano alcun sintomo della malattia? Anche in questi casi è quesione di genetica. Nello studio da poco pubblicato su Nature gli autori della ricerca hanno dimostrato che negli individui con mutazione HLA-B*15:01 l'infezione da Sars-Cov-2 si svolge in maniera completamente asintomatica. Le proteine HLA da sempre sono importanti nella corretta risposta immunitaria: esse hanno il compito di mostrare alle cellule T del sistema immunitario alcune porzioni del virus, un processo importante per innescare l'eliminazione delle cellule invase dall'agente infettivo. Andando ad analizzare in maniera più approfondita il meccanismo, gli scienziati hanno dimostrato che chi possiede questa particolare mutazione è in grado di rispondere in maniera più efficace e veloce all'infezione. Per farlo hanno utilizzato campioni di sangue di persone con questa mutazione prelevati anni prima dello scoppio della pandemia. Dalle analisi è emerso che le componenti del sistema immunitario, messe a contatto con il virus, "lavoravano" come se avessero già incontrato Sars-Cov-2 in passato, fatto ovviamente impossibile. Ciò significa che il contatto con altri coronavirus, unito alla mutazione specifica di HLA-B*15:01, ha generato un sistema immunitario già pronto a combattere. Una sorta di "vaccinazione" naturale in grado di prevenire lo sviluppo di sintomi. Piccolo particolare: la mutazione protettiva HLA-B*15:01 è presente in circa il 10% della popolazione

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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