Uomini e ominidi condividono porzioni di Dna. Questo significa che hanno convissuto per anni e che la "convivenza" ha portato ad un vantaggio evolutivo. A Svante Pääbo il merito di aver "ridisegnato" le nostre origini
Al "papà" della "paleogenetica", Svante Pääbo, il premio Nobel per la Medicina 2022. Al genetista svedese, figlio di un altro Nobel (Sune Bergström, premiato nel 1982 per le ricerche sulle prostaglandine), il merito di aver condotto i primi studi sul genoma dei nostri antenati -primo fra tutti l'uomo di Neanderthal- che hanno ridisegnato la biologia dell'evoluzione.
ALLE ORGINI DELL'UOMO
Chi siamo? Da dove veniamo? In cosa ci differenziamo dai nostri antenati? Queste domande, per quanto riguarda l'approccio puramente scientifico, hanno guidato l'intera carriera di Svante Pääbo. Se oggi sappiamo che una parte del genoma delle persone di origine europea ed asiatica, che va dall'1 al 4%, è esclusivo dell'uomo di Neanderthal lo dobbiamo proprio al neo-Nobel. Un risultato straordinario che conferma quanto la paleontologia aveva indagato da tempo: Homo sapiens e Neanderthal hanno convissuto in gran parte dell'Eurasia per decine di migliaia di anni. Una coesistenza che ha portato ad un "flusso" di particolari geni tra gli ominidi e l'uomo, inteso come lo conosciamo oggi, importanti nella risposta alle infezioni e nell'adattamento a determinate aree geografiche caratterizzate da condizioni "estreme".
UNA MISSION IMPOSSIBLE
Ma come è stato possibile confrontare il Dna dell'uomo con quello di un suo antenato? All'apparenza potrebbe sembrare fantascienza. Nella realtà dei fatti non è così. Questo non significa che sia facile: all'inizio della sua carriera Svante Pääbo rimase affascinato dalla possibilità di utilizzare le indagini genetiche per studiare il Dna dei Neanderthal. Tuttavia si rese conto delle estreme difficoltà tecniche: nel tempo il Dna si danneggia e dopo migliaia di anni ciò che resta, a partire dai frammenti ossei ritrovati, è solo qualche porzione estremamente contaminata. Per tutta la vita, prima all'Università di Monaco e poi al Max Planck Institute di Lipsia, lo scienziato svedese ha studiato nuovi metodi per isolare e sequenziare il Dna dei nostri antenati. Un impegno costante culminato, nel 2010, con la pubblicazione della prima sequenza del genoma del "Neanderthal", primo passo verso la scoperta di ciò che condividiamo con i nostri antenati.
NEANDERTHAL MA NON SOLO: DENISOVA
Ma la "ciliegina sulla torta" delle ricerche del Nobel svedese si chiama Denisova. Nel 2008 in Siberia -in particolare nella grotta di Denisova- Pääbo e colleghi hanno scoperto un frammento di un osso di un dito di circa 40 mila anni contenete Dna eccezionalmente conservato. Sequenziato, i risultati furono incredibili: la sequenza era unica rispetto a tutte quelle conosciute dei Neanderthal e degli esseri umani di oggi. Pääbo aveva scoperto Denisova, un ominide precedentemente sconosciuto. Confrontando il Dna dell'ominide con quello degli altri esseri umani contemporanei provenienti da diverse parti del mondo, il gruppo di ricerca dello scienziato premiato con il Nobel ha dimostrato che anche tra uomo e Denisova si è verificato un flusso di geni: hanno mostrato che il flusso genico si era verificato anche tra Denisova e Homo sapiens. Un esempio? Gli attuali abitanti del sud-est asiatico condividono sino al 6% del genoma di Denisova. Un fatto che ha contribuito a ridisegnare la storia dell'evoluzione dell'Homo sapiens e dei suoi "incontri" con altri ominidi.
EVOLUZIONE CONTINUA
Essere riusciti a comparare i diversi genomi non è stato solo uno straordinario esercizio per comprendere le nostre origini e la nostra storia. Queste interazioni e scambi di geni ci ha portato a "migliorare", in chiave evolutiva, sempre di più le nostre caratteristiche. Un esempio è rappresentato dalla "versione" denisoviana presente in alcune persone di EPAS1, gene che conferisce un vantaggio nella sopravvivenza ad alta quota e che frequentemente si riscontra nella popolazione del Tibet. Non solo, un altro grande vantaggio del "rimescolamento" del Dna tra i sapiens e gli altri ominidi riguarda i geni HLA, fondamentali nel determinare la risposta immunitaria agli agenti patogeni. Per l'Homo sapiens la sopravvivenza nella sua terra di orgine, il continente africano, era determinata da un particolare espressione dei diversi geni HLA. Probabilmente però, questa variabilità, non sarebbe stata sufficiente al di fuori del continente. L'incontro con altri ominidi e l'acquisizione di nuove caratteristiche potrebbe essere stata fondamentale nel successivo "dominio" del "Sapiens" in tutto il resto del pianeta.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.