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Cardiologia
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 29-07-2024

Vacanze in montagna: i consigli per la salute in alta quota



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Quali precauzioni per salire in quota? Come gestire le terapie in corso? I consigli dell'esperto alle persone con malattie cardiache e oncologiche per un soggiorno sereno in montagna

Vacanze in montagna: i consigli per la salute in alta quota

La montagna d’estate costituisce un’ottima alternativa rispetto al mare per una vacanza rigenerante e piacevole. Il problema di salute che spesso ci si pone è però quello legato all’altitudine, soprattutto se si è un po’ avanti con gli anni, se si soffre di disturbi cardiaci, d’ipertensione o se si sta seguendo una terapia oncologica. Quali dunque gli accorgimenti, in relazione alle differenti situazioni cliniche e alle scelte della meta, per gestire le ferie in quota in sicurezza? Lo abbiamo chiesto al professor Gianfranco Parati, docente di Cardiologia all’Università di Milano-Bicocca, direttore scientifico e direttore della Cardiologia dell'IRCCS Auxologico, nonché esperto internazionale di Medicina di Montagna.

 

CHE COS’È IL MAL DI MONTAGNA 

Le opzioni di viaggio attualmente disponibili permettono a un numero sempre crescente di persone, tra cui anche anziani e persone affette da diverse patologie, di raggiungere località di alta quota (HA), ossia situate al di sopra dei 2.500 metri sul livello del mare. «Al di sopra di questa soglia - spiega Parati - iniziano a svilupparsi risposte fisiologiche che costituiscono vere e proprie sfide per l'organismo. Data la riduzione della pressione barometrica con la conseguente riduzione della quantità di di ossigeno che arriva al sangue, viene imposto infatti un aumento del carico di lavoro sul sistema cardiovascolare. Il nostro corpo deve dunque adattarsi alle nuove condizioni, modificando così l’attività respiratoria e la regolazione nervosa di cuore e vasi sanguigni, con anche la possibile comparsa di sintomi, quali mal di testa, nausea e instabilità della camminata, che sono l’espressione del “mal di montagna”. Solitamente i problemi non insorgono appena si giunge in alta quota, ma dopo circa 4/6 ore dall’arrivo quando, in conseguenza della ridotta saturazione in ossigeno del sangue si attivano dei meccanismi adattativi, che richiedono del tempo per manifestarsi clinicamente. Non solo il respiro si fa più veloce, ma anche il battito cardiaco accelera e la pressione sale. A queste modifiche dovute ad una risposta adattativa, si possono aggiungere i sintomi del mal di montagna, quali mal di testa, nausea, inappetenza, incertezza al cammino. In casi estremi e a quote molto elevate si possono anche verificare gravi eventi come edema cerebrale o edema polmonare d’alta quota».

 

COME APPROCCIARSI ALL’ALTITUDINE

«Se siamo in buona salute e intendiamo salire a quote moderate (1.500- 2.000 metri) - spiega Parati - non serve una preparazione particolare, anche se è sempre buona cosa tenersi allenati, praticando attività aerobica moderata (dalla corsa alla bicicletta), e cercare di salire in quota con una certa gradualità, soprattutto nel caso di persone un po’ avanti con gli anni. Per affrontare quote più elevate, oltre i 2.500 metri, oltre alla preparazione fisica e a una salita graduale, è fondamentale una verifica delle proprie condizioni di salute. Può essere dunque opportuno, ma sarà il medico a valutarlo in base all’età e alle condizioni di salute individuale, effettuare una visita con eventuale ECG, esami del sangue e controllo della pressione arteriosa, ove indicato anche nelle 24 ore in particolare per valutare la pressione notturna. Vi sono poi raccomandazioni personalizzate per persone con specifici problemi di salute».

 

PERSONE CON IPERTENSIONE O CARDIOPATIE

La montagna non è affatto preclusa in assoluto a ipertesi e cardiopatici, con alcune accortezze.

Primo: pensare alla terapia farmacologica che si sta seguendo. «In particolare nelle persone anziane che hanno problemi cardiologici o patologie respiratorie (ma la raccomandazione vale per i cardiopatici di tutte le età) - prosegue Parati, - è necessaria in alta quota una maggior cautela, ed è necessario proseguire le terapie in corso, a volte con una modulazione di dosaggi e, ove necessario, anche con qualche aggiunta. Infatti, nella preparazione a una esposizione in alta quota e, allo scopo di affrontare meglio gli effetti cardiovascolari dell’ascesa in quota, ove necessario, il medico potrà fornire indicazioni sulla terapia farmacologica da seguire. Ciò è possibile sia adattando una eventuale terapia già in atto, sia prescrivendo sostanze specifiche che possano facilitare l’adattamento in quota, prevenendo così il mal di montagna e/o contrastando eccessive modifiche di pressione arteriosa, attività cardiaca e saturazione di ossigeno. A questo scopo, dopo attenta valutazione individuale, viene frequentemente prescritta acetazolamide (diamox), da iniziare ad assumere due giorni prima della partenza e da continuare nei primi due giorni di permanenza in alta quota».

Secondo, badare alle tempistiche. Spiega il professor Parati: «Occorre inoltre salire gradualmente per dare il tempo al nostro corpo di adattarsi, senza forzare i tempi, soprattutto quando l’allenamento non è ottimale. In questo contesto è effettivamente fondamentale considerare la modalità con cui si giunge in alta quota: se graduale o repentina. Se si arriva, insomma, lentamente e progressivamente a piedi l’adattamento è più facile, mentre se si sale rapidamente in auto o in funivia il nostro organismo non ha il tempo di adattarsi e in quest’ultimo caso occorre prender e maggiori precauzioni. Altro elemento importante è anche il tempo di permanenza in quota. Se si valica un passo anche alto, sopra i 3.000-4.000 metri, ma si resta esposti per poco tempo, meno di 4-5 ore l’impatto sull’organismo è infatti trascurabile».

Terzo, considerare lo stato di forma fisica. «Per tutti, sia persone sane sia chi è affetto da una patologia, vale il discorso della preparazione fisica. Per chi è affetto da qualche problema cardiaco è inoltre necessaria anche una rivalutazione della stabilità delle proprie condizioni cliniche, e del rischio individuale di eventi cardiovascolari avversi associati all’esposizione all’alta quota. Infatti, alla base di tutto, per garantire una ascesa sicura in montagna anche a chi soffra di condizioni cardiache pre-esistenti, ci deve essere una attenta valutazione medica preliminare che definisca un profilo di rischio individuale sulla base del quale debbano essere prese le necessarie decisioni».

 

PERSONE CON MALATTIE ONCOLOGICHE

«Per quanto riguarda i malati oncologici - spiega il professor Parati - non sono stati effettuati studi specifici sull’altitudine, ma sotto i 1.500 metri, se il paziente si sente bene, non risente di particolari effetti collaterali dovuti ai trattamenti di cura, non ci sono particolari preclusioni per un soggiorno in montagna. Ovviamente vige il buon senso: se la chemioterapia, ad esempio, ha destabilizzato il malato, impattando sui valori dell’emocromo, interferendo con le difese immunitarie o causando, più in generale, sensazioni di profondo malessere, una ascesa in alta quota non appare opportuna né del resto appare desiderabile per il paziente stesso».

Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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