Gli adulti con apnea del sonno possono avere fino al 75% di rischio in più di sviluppare il Long Covid. La scoperta di uno studio americano
L’apnea ostruttiva del sonno colpisce circa un adulto su otto, ma qual è il suo legame con il Long Covid?
I soggetti che soffrono di apnee notturne pare che abbiano il 75% di rischio in più di sviluppare il Long Covid. È quanto emerso da uno studio condotto dal National Institutes of Health (NIH) su oltre 2 milioni di americani che hanno contratto il virus Sars-CoV-2 tra marzo 2020 e febbraio 2022.
LO STUDIO
Analizzando le cartelle cliniche dei partecipanti, sono stati identificati i soggetti affetti da sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno (OSAS: obstructive sleep apnea syndrome), che si verifica nel 5% degli adulti e in meno del 2% dei bambini. Si tratta di un disturbo della normale frequenza respiratoria che prevede l'arresto del respiro che superi i 10 secondi.
Sono poi stati valutati i sintomi del follow-up a seguito di negativizzazione dal virus Sars-CoV-2 per capire quanti soggetti fossero stati colpiti da Long Covid. Cosa è emerso? I ricercatori hanno scoperto che gli adulti con apnea ostruttiva del sonno hanno il 75% di rischio in più di presentarne i sintomi. Le donne in particolare sono a maggior rischio, con una probabilità aumentata dell’89%, rispetto al 59% per gli uomini. Le associazioni sottostanti, però, non sono chiare.
I VANTAGGI
Lo studio suggerisce che un attento monitoraggio a seguito di infezione da COVID-19 può aiutare gli adulti con apnea del sonno. I risultati possono anche rafforzare la comprensione del motivo per cui alcune persone hanno maggiori probabilità di sviluppare Long Covid dopo un'infezione acuta.
«Non è chiaro perché i soggetti con apnea ostruttiva del sonno abbiano un rischio aumentato di sviluppare Long Covid – spiega il professor Sergio Harari, Direttore della Pneumologia all’ospedale San Giuseppe MultiMedica Milano e professore di Medicina Internata alla Statale –, in generale, però, i pazienti che soffrono di condizioni croniche, non solo apnee notturne, ma anche diabete, malattie cardiovascolari, BPCO, sono a maggior rischio di sviluppare i sintomi del Long Covid. Questi non sempre sono direttamente correlati alla gravità di malattia, e possono variare molto da soggetto a soggetto e nel tempo».
IL LONG COVID IN ITALIA
Il Long Covid è un termine generico che indica uno o più sintomi che le persone possono avvertire per settimane, mesi o anni dopo la guarigione dal Covid. Quali sono i sintomi più diffusi? Com’è la situazione in Italia?
«I casi di Long Covid, anche se secondo la dizione introdotta dall’OMS è meglio parlare di post-Covid, fortunatamente, sono andati riducendosi moltissimo dopo la prima ondata epidemica», precisa il professor Harari. «Il consumo di farmaci e di risorse sanitarie, che sono indicatori indiretti della ripercussione dei sintomi sui bisogni di salute dei cittadini, rispetto a due anni fa si sono estremamente ridotti. Questo andamento potrebbe dipendere dal fatto che la maggior parte dei casi sono molto più lievi di quelli che si riscontravano nella prima ondata. Inoltre, le nuove varianti virali hanno una minor patogenicità e incontrano una popolazione in gran parte immunizzata».
I SINTOMI PIU’ FREQUENTI
«Il sintomo più frequente, e spesso uno dei più difficili da inquadrare e da misurare, è l'astenia – prosegue Sergio Harari - ovvero la stanchezza e la mancanza di forze. Possono poi manifestarsi dolori muscolari, insonnia, depressione, alopecia, problemi dermatologici e alle volte si osserva ancora alterazione del gusto e dell’olfatto. Un altro sintomo molto frequente, difficile da misurare, è una sensazione di affaticamento respiratorio che può sfuggire alla nostra sensibilità diagnostica. Trattandosi di qualcosa di molto sottile, infatti, TAC, prove di funzionalità respiratoria, test da sforzo ed esami cardiologici non documentano una patologia rilevabile».
COME GESTIRE IL LONG-COVID?
Gestire il Long Covid è possibile?
«In medicina per poter interagire con la malattia e fornire terapie adatte bisogna avere chiari i meccanismi patogenetici; nel caso del Long Covid, non essendo ancora del tutto delucidati, non abbiamo trattamenti specifici, ad eccezione di terapie per determinate manifestazioni. L'asma post infettivo, ad esempio, sappiamo come gestirlo. Il Sars-Cov-2 induce un'irritazione delle vie respiratorie e in alcuni soggetti può determinare manifestazioni di tipo asmatico come tosse e mancanza di fiato registrabili dal punto di vista di laboratorio e trattabili come se fossero forme asmatiche primitive che di solito vanno spegnendosi nell’arco di qualche mese. Per l'astenia, invece, può essere utilizzata la L-arginina, amminoacido utilizzato anche dagli sportivi per migliorare le prestazioni muscolari. Per tutte le altre situazioni, molto spesso si cerca un trattamento palliativo per i sintomi più fastidiosi. La miglior cura, solitamente, è il tempo: poco a poco le situazioni vanno auto risolvendosi. La grande maggioranza dei soggetti, infatti, entro sei, massimo dodici mesi dall'evento acuto, vede la risoluzione dei sintomi, mentre c’è una sottopopolazione di pazienti in cui si può arrivare a oltrepssare anche l'anno».
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Caterina Fazion
Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile