Se come da tempo sostiene l’Organizzazione mondiale della Sanità, il concetto di salute deve essere inteso non come semplice assenza di malattia, ma “uno stato di benessere psichico, fisico e sociale” la musica può contribuire a raggiungere questa condizione? Non è un quesito di poco conto, in una società come la nostra dove la musica, in tutte le sue forme, sinfonica, lirica, jazzistica e soprattutto quella cosiddetta leggera, ha una presenza costante e ne è diventata la colonna sonora del vivere quotidiano. Forse perché a Castelfidardo ai primi dell’Ottocento fu costruita la prima fisarmonica (e la cittadina marchigiana si onora di definirsi capitale mondiale di questo strumento aerofono ad ancia) questo centro ha sviluppato una apprezzata cultura musicale con iniziative di insegnamento della musica nelle scuole ma anche di ricerca scientifica sulla musicoterapica.
CHE COS'E' LA MUSICOTERAPIA- E’ una modalità d’approccio sensoriale che utilizza l’elemento sonoro con finalità terapeutiche e preventive per intervenire su un certo numero di disagi fisici, psicologici e psicopatologici. Un percorso attraverso il quale con l’assistenza di un musicoterapeuta, una persona o gruppo di persone, grazie alla stimolazione delle sue capacità creative, può raggiungere un miglioramento del proprio benessere, superando difficoltà e disagio nella comunicazione con altri, nella gestualità del corpo.
USANZA ANTICA- Certamente la musica ha accompagnato la vita dell’uomo fin dalle sue origini. Chi ne ha fatto materia di studio sistematico fu però la Grecia classica. Per Platone e Aristotele, che erano anche musicologi, l’arte del ritmo musicale contribuisce a migliorare la calma interiore, la serenità e addirittura la morale. Per Platone il mondo si poggiava su principi musicali e la vita dell’uomo è dominata dall’armonia del ritmo e un’educazione musicale aiuta a raggiungere la formazione di un carattere equilibrato. Per Aristotele ascoltando le note di qualsiasi strumento è possibile alleviare le tensioni psichiche perché la musica possiede un grande potere liberatorio. Nel Medioevo i depositari della musicaterapia furono i monaci delle abbazie, che assegnarono al canto gregoriano una particolare efficacia contro tensioni e disturbi psichici. Ma a dare un carattere di studio sistematico alla materia fu l’illuminismo del Settecento quando si cominciò a studiare le vibrazioni che si creano nel corpo umano all’ascolto della musica. Verso la fine dell’Ottocento la musicoterapia comincia a gettare le sue basi non più empiriche o rituali e religiose, ma scientifiche, cioè fondate su esperienze cliniche.
NON E’ ANCORA UNA SCIENZA- Lo studio delle effettive capacità terapeutiche della musica è solo agli inizi. In molte Università e in molti ospedali si stanno sviluppando ricerche cliniche che confermano l’utilità delle tecniche legate alla musicoterapia. Con l’ascolto partecipativo della musica, come già detto, si sviluppano potenzialità inespresse che possono facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, e soddisfare così anche le necessità emozionali, mentali, sociali e cognitive. Anche se ancora agli inizi la musicoterapia si dimostrata efficace soprattutto nella riabilitazione di alcuni disturbi neurologici, come la depressione, in certe forme di autismo e di Alzheimer. In molti Paesi è stata creta una figura professionale paramedica, mentre in Italia è stata presentata una proposta di legge che prevede l’istituzione del musicoterapista “esperto in comunicazione espressivo-sonora nell’area preventivo-riabilitativa”. E’ comunque presente una diffusa attività di musicaterapia sul territorio, nelle scuole, nei centri di riabilitazione, nelle case-famiglia
STUDIATA ANCHE DALLA FONDAZIONE VERONESI- La Fondazione Umberto Veronesi dal 2008 ha creato un comitato di lavoro che si occupa del rapporto tra scienze e musica. L' attenzione è puntata sulle neuroscienze e sui meccanismi che creano nella mente umana reazioni differenti rispetto ai diversi stimoli sonori. Per comprendere come mai le note, siano quelle di Vivaldi o di un brano rock, intervengano, e bene, dove non arrivano farmaci o bisturi. "Cioè, spiega il professor Umberto Veronesi, stiamo studiando come la musica sia capace di rivelare il nesso fra l'uso delle note come terapia complementare nella cura di varie patologie, dall' Alzheimer alla depressione, e i miglioramenti sui pazienti".