I test in vitro e in silico aiutano ad utilizzare sempre meno animali. Il corpo umano è una macchina complessa
Sul fronte animalista la critica più aspra alla sperimentazione che utilizza essere viventi è relativa alla presunta esistenza di validi modelli alternativi. Esistono? Sono realmente alternativi o piuttosto complementari?
Allo stato attuale della ricerca i modelli che non prevedono l'utilizzo di animali si inseriscono nel contesto della strategia delle 3 R: ideare dove possibile metodi alternativi di indagine scientifica (Replacement), ridurre il numero di cavie utilizzate (Reduction), migliorare le loro condizioni in laboratorio (Refinement).
In questo contesto si inseriscono i modelli in vitro. Approcci che tendono a risparmiare il più possibile l'utilizzo di animali. Un esempio? I test di tossicità. Come spiega Luigi Naldini dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, «Oggi, grazie ai test in vitro, è possibile testare gli effetti di alcuni farmaci sul metabolismo e sulla crescita cellulare. Questi metodi sono ottimi per selezionare ed eliminare in partenza le molecole che presentano alti livelli di tossicità e che non avrebbe senso sperimentare sull’animale». Un altro esempio sono i test ELISA. Mentre in passato per sperimentare la potenza e l'efficacia dei vaccini era necessario testare la molecola sugli animali, oggi è possibile con questo test verificare la bontà del farmaco in questione.
Accanto a quelli in vitro esistono poi i cosiddetti modelli in silico. Con questo termine si intendono quei software bioinformatici capaci di predire l'andamento di determinate reazioni biochimiche all'interno dell'organismo. Strumenti particolarmente potenti i cui inventori sono stati insigniti proprio lo scorso anno del premio Nobel per la chimica. Questi software sono infatti in grado di predire gli effetti di una sostanza semplicemente dalla sua struttura chimica, confrontandola con composti strutturalmente simili di cui sono già noti gli effetti. Un ottimo strumento che limita fortemente l'utilizzo di animali.
Un'altra critica che viene mossa dal mondo animalista riguarda la differenza giudicata abissale tra uomo e modello animale. «In realtà -spiega Naldini- ci sono molte somiglianze: uomini e topi condividono gli stessi processi metabolici di base e gli stessi “patterns” molecolari. E, d’altra parte, proteine complesse umane si sono dimostrate funzionanti anche in modelli apparentemente molto lontani da noi come il moscerino della frutta Drosophila melanogaster».
I modelli descritti non tengono però conto della complessità umana. Il corpo è una macchina ben strutturata, un sistema integrato dove le singole componenti parlano tra loro. Gli esseri viventi non sono composti a compartimenti stagni e, quindi, ciò che accade in un particolare distretto corporeo ha ripercussioni su tutto il resto dell’organismo. Come testare dunque queste funzioni complesse senza l'ausilio dei modelli animali?