Il tatuaggio può scatenare un peggioramento della malattia in un paziente su 4. La pratica può essere rischiosa anche in chi è apparentemente sano: sono sempre di più le persone che sviluppano psoriasi alcune settimane dopo essersi tatuate
Meglio pensarci su, prima di tatuarsi la pelle. La raccomandazione è quanto mai appropriata per le persone che soffrono di psoriasi, visto che il 25 per cento di loro può veder peggiorare la malattia dopo un tatuaggio. A distanza di alcune settimane è infatti possibile che compaiano i segni classici della malattia, come arrossamento e desquamazione della pelle nell’area interessata dal disegno.
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SE IL TATUAGGIO FA SCATTARE LA PSORIASI
Secondo gli esperti i casi di persone sane che hanno sviluppato la malattia a seguito del tatuaggio sono in continuo aumento. «L’introduzione di pigmenti nella cute per creare disegni più o meno elaborati è un atto complesso, che disturba l’equilibrio della pelle e soprattutto può indurre una reazione infiammatoria locale tutt’altro che lieve - spiega Cataldo Patruno, docente scuola specializzazione di dermatologia dell’Università Federico II di Napoli, dove s'è appena tenuta la seconda edizione della scuola della psoriasi -. Questa reazione può essere il primo passo verso lo sviluppo della psoriasi in persone che non hanno mai avuto sintomi in precedenza.
Si tratta di soggetti evidentemente predisposti, in cui il tatuaggio può diventare l’elemento scatenante attraverso l’infiammazione cutanea che attiva il sistema immunitario e lo conduce verso la malattia.
Si stima infatti che almeno il dieci per cento della popolazione abbia uno o due geni che possono favorire la comparsa della malattia, ma solo il 2-3 per cento la sviluppa.
Si ritiene perciò che i geni debbano combinarsi con specifici fattori esterni scatenanti.
Alcuni di questi sono, per esempio, alcuni farmaci o le infezioni, ma anche il tatuaggio si sta rivelando un elemento sempre più spesso coinvolto nell’inizio dei sintomi».
LA REAZIONE AVVIENE ENTRO DUE SETTIMANE DAL TATUAGGIO
C’è ancora più certezza sul fatto che il tatuaggio possa peggiorare una psoriasi esistente in chi ha già avuto la diagnosi, come sottolinea Nicola Balato, professore di dermatologia all’Università Federico II di Napoli, oltre che responsabile dell'ambulatorio della psoriasi.
«Il 25% dei pazienti con psoriasi ha la cosiddetta risposta isomorfica. In sostanza, quando la pelle viene traumatizzata in qualsiasi modo, nell’area del trauma si sviluppa una reazione infiammatoria, con la comparsa di una nuova lesione. Il fenomeno, più probabile se la psoriasi è in una fase instabile, può avvenire a seguito di ferite chirurgiche o ustioni, ma pure dopo l’esposizione ad agenti irritanti o perfino a seguito della puntura di insetti. Purtroppo si sta verificando sempre più spesso anche in soggetti psoriasici che decidono di tatuarsi. La procedura porta alla comparsa di una nuova lesione psoriasica a livello del tatuaggio, in alcuni casi perfino ricalcandone precisamente il disegno, e spesso la malattia si aggrava anche in altre zone del corpo. In genere tutto avviene nel giro di due, quattro settimane dal tatuaggio ma si sono segnalati anche casi in cui il fenomeno si manifesta più tardi».
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TATUAGGIO E PSORIASI
I pazienti con psoriasi dovrebbero perciò essere adeguatamente informati sui rischi del tatuaggio.
«Si tratta di una pratica molto sconsigliata - conclude Balato - perché troppo spesso può portare la malattia a manifestarsi anche in aree del corpo dove non si era mai presentata prima, peggiorando la situazione complessiva del paziente. Alcuni raccomandano la prudenza, consigliando chi non vuole in alcun modo privarsi di un tatuaggio di farlo molto piccolo e in una zona poco visibile. Se si può rinunciare, tuttavia, è meglio astenersi perché l’inserimento di aghi e pigmenti sotto cute è un gesto che può rivelarsi rischioso per la pelle di chi ha la psoriasi».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).